Locarnese

Locarno, ‘Democrazia è trasparenza’

Concessione dell’attinenza comunale: il voto segreto sistematico chiesto da destra non passa

25 giugno 2018
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Un dibattito dai forti connotati ideologici, su un tema che avrebbe valenza amministrativa ma è invece contraddistinto – nei Consigli comunali – da un profilo politico. Questo è stato il dibattito di ieri in Consiglio comunale a Locarno sulla mozione con cui Aron D’Errico e cofirmatari chiedevano l’applicazione sistematica del voto segreto per le richieste dell’attinenza comunale in vista della naturalizzazione. Mozione che al voto, dopo quasi 2 ore e mezza di pareri assortiti, è stata bocciata con 21 “no”, 10 “sì” e un’astensione.

Il Municipio, ricordiamo, aveva proposto di bocciare la mozione soprattutto perché la modalità del voto segreto è già prevista per casi particolari e “introdurre una regola fissa non ha senso”. Di base, ricordava l’esecutivo – ed ha poi sottolineato in sala Ronnie Moretti –, è infatti necessario “garantire lo svolgimento corretto della decisione”; correttezza data dalla “parità ed equità di trattamento” e dall’obbligo di motivare le decisioni adottate: “Sarebbe improbabile, o in tutti i casi raro, che un consigliere esprima in seduta durante la discussione una motivazione a sostegno della non concessione dell’attinenza comunale, allorquando si procederebbe in seguito con il sistema del voto segreto: il fine del voto segreto non sarebbe pertanto ottenuto”. La Città notava infine che l’ordinamento giuridico in materia è chiaro e difficilmente si può andare in deroga; quanto alle paventate ritorsioni di chi si è visto rifiutare l’attinenza, “il candidato non ha motivo di prendersela con chi è stato tenuto ad esprimere il voto sulla sua domanda sulla base della legislazione in vigore” ma può adire “le vie di ricorso che gli sono garantite”.

Ideologie a confronto

I “temi” della mozione erano invece stati presi per buoni dalla maggioranza della Commissione della legislazione, che concludendo il suo rapporto (relatore Mauro Belgeri, correlatrice Julia Wolf-Bertoia) parlava dello scrutinio segreto quale strumento utile per “garantire la libertà di voto e l’autonomia decisionale” dei consiglieri comunali; per “evitare ingerenze, condizionamenti e pressioni sociali, personali, economici/lavorativi e politici”; e, appunto, per “mettere al riparo dal pericolo di ritorsioni”. Un altro motivo in base al quale trincerarsi dietro l’anonimato era il “mettere un freno alle naturalizzazioni facili”. Inoltre, così facendo Locarno si sarebbe adeguato, secondo la Legislazione, “alla prassi di altri Comuni”. Tutti elementi emersi durante la discussione che ha preceduto il voto finale. Non soltanto a sinistra (Sirica, Camponovo, Pelloni, Antunovic, Vetterli, Zanchi e Pini) è stato sottolineato che democrazia è prima di tutto trasparenza, e che trasparenza significa anche coraggio. Un coraggio che deve prevalere sui (pochi) casi di intimidazione o ritorsione. Da questo elemento (la “schermatura” del voto per difendersi da chi può non digerire un “no” alla propria domanda di attinenza) era nata una mozione che il suo primo firmatario ha insistito a definire «di libertà, necessaria quando parliamo, contrariamente a quanto succede per gli altri messaggi, di un voto sulla persona». Sulla falsariga di D’Errico si sono espressi gli esponenti della destra Caldara, Bäriswyl e Ceschi, mentre una posizione personale più difficilmente classificabile, «per niente anti-stranieri» – ma comunque a sostegno del voto segreto – è stata portata da Belgeri.

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