delitto di monte carasso

Colpo di scena: la 41enne russa è stata assolta

La Corte d'appello ha pronunciato oggi la sentenza che ribalta il giudizio di primo grado. La chiamata in correità da parte del marito non è credibile

La sentenza è stata pronunciata oggi alla presenza delle parti (Ti-Press)
8 ottobre 2020
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Non il carcere a vita come stabilito dalla sentenza di primo grado, bensì l'assoluzione dal reato di assassinio. Non è stata dunque la 41enne russa che ha sposato un 51enne ticinese attualmente in carcere per aver commesso l'assassinio il 19 luglio 2016, a istigarlo e a convincerlo a commettere un tale crimine. L'uomo già ad aprile 2016 aveva manifestato istinti omicidi scrivendo via sms alla nuova consorte che avrebbe voluto uccidere la sua ex. 

Lo ha stabilito la Corte d'appello e revisione penale (Carp) che oggi si è riunita in camera di consiglio, a una settimana di distanza dalla conclusione del dibattimento svoltosi in parte a inizio mese a Palazzo dei congressi e successivamente (dopo la consegna di una perizia di parte sulla qualità delle traduzioni in corso d'inchiesta) al Centro formativo della Polizia cantonale a Giubiasco. La donna, in carcere da oltre un anno, ha reagito con un pianto liberatorio abbracciando la figlia.

Accolta dunque la richiesta degli avvocati difensori della donna, Yasar Ravi e Luisa Polli, che chiedevano l'assoluzione totale della loro assistita che è sempre professata innocente e che si era opposta alla condanna emessa dal giudice Amos Pagnamenta in occasione del processo svoltosi di fronte alla Corte delle assise criminali. Dal canto suo la procuratrice pubblica Chiara Borelli chiedeva la conferma della condanna all'ergastolo.

La figura del marito, una 'finta marionetta'

La Corte presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will ha sottolineato che il marito dell'imputata è una persona che non esita ad addossare le proprie responsabilità sugli altri ed è bugiardo. Un esempio fra tanti: l'aver allestito un falso certificato di morte per poter disdire una vacanza senza dover pagare la penale. «Mente in più occasioni e se si impegna riesce anche a mentire bene», ha detto la giudice Roggero-Will. «Si è attribuito il ruolo del robot, della marionetta nelle mani di una manipolatrice. In questo modo lui non era più il consapevole omicida, la sua responsabilità penale e morale diminuiva. Invece era manovrato dal proprio egoismo», ha spiegato motivando la sentenza. La presidente della Corte ha sottolineato che l'uomo ha fornito svariate versioni in fase d'inchiesta sull'idea e sulle modalità del piano, rendendo così poco credibile e lineare, oltre che non disinteressata, la chiamata in correità.

Nel motivare la sentenza la giudice Roggero-Will si è soffermata sulla figura del marito, un uomo che «per quel che ci dicono gli atti riesce ad addossare alla prima moglie l’integrale responsabilità dei problemi, che non si fa scrupolo a dirle che vuole divorziare via sms quando lei è ricoverata in clinica, che il giorno dell'omicidio qualche ora prima spedisce al figlio un video di gattini, che riesce a uccidere la prima moglie perché non vuole pagarle gli alimenti, che riesce a farlo pur sapendo che sarà il figlio a trovare il cadavere della donna, la cui unica preoccupazione dopo la scoperta del corpo è che sia il suocero - a cui ha appena ucciso la figlia - a dover pagare le spese del funerale e del ritinteggio della casa».

Il movente economico

A proposito dei problemi finanziari che la coppia stava affrontando, la Corte ha ricordato che i debiti a cui dovevano far fronte erano stati creati proprio dal 51enne, indipendentemente dall'arrivo della nuova compagna dalla Russia. Pure l'acquisto di una macchina sportiva in leasing è stato voluto da lui, «per il suo orgoglio, perché come dichiarato dal figlio non voleva sfigurare di fronte ai colleghi che avevano tutti dei macchinoni». Va dunque a cadere la tesi accusatoria secondo lui l'uccisione della donna è stata pensata per far fronte alle spese generate dallo stile di vita della russa. Anzi, la Corte ha ritenuto che l'imputata non fosse una lazzarona, avida e senza scrupoli come sostenuto dalla Pubblica accusa. «Ci sono elementi per dire che non è una donna piena di pretese ma che cerca invece di porre rimedio ai problemi della famiglia. Trovare lavoro era un suo chiodo fisso e non trovandolo si è ingegnata preparando in casa dei ravioli che poi vendeva», ha ricordato Roggero-Will. Lui aveva parlato di "cose estetiche" spiegando i problemi finanziari, ma «quanto può costare una seduta dal parrucchiere al mese, con tanto di ciglia e manicure? 200 franchi se vogliamo esagerare - ha incalzato Roggero-Will -. Esistono dei moventi banali ma credo sia ben difficile immaginare che alle nostre latitudini si possa pianificare un uccisione per importi del genere». Dagli atti, è stato aggiunto, l'imputata appare come una persona parsimoniosa, che non spendeva né spandeva, e che conduceva una vita senza pretese. «Gli atti ci dicono che lui non aveva bisogno della spinta di lei per fare quello che ha fatto, lui non voleva dare niente alla prima moglie, non concepiva il motivo per cui ogni mese doveva darle metà della sua busta paga».

Il giorno della confessione in polizia

Tra gli elementi che hanno portato la Corte tutta al femminile - formata da Giovanna Roggero-Will, Rosa Item e Chiarella Rei-Ferrari - a ribaltare la sentenza di primo grado vi è poi il fatto che quando due anni dopo l'assassinio il 51enne si rivolge a un parroco e poi decide di confessare, la nuova moglie lo accompagna. «Se fosse stata lei a manipolarlo per uccidere l'ex moglie, allora sarebbe anche riuscita a convincerlo a non costituirsi. Inutile infatti dire che l’omicida che confessa costituisce un serio pericolo per il suo correo. E inoltre se fosse stata un’assassina se ne sarebbe andata dalla Svizzera a gambe levate dopo l'arresto del marito», ha sottolineato la presidente della Carp.

'Non siamo chiamati a fare giudizi morali'

La Corte ha quindi creduto al fatto che l'imputata fosse rimasta inorridita e spaventata da quanto il marito ha commesso, dopo aver appreso del delitto poco dopo che è stato consumato. «È verosimile che non abbia detto nulla perché era convinta che nessuno le avrebbe creduto». Per quanto riguarda i mesi dopo l'omicidio, la Carp ha constatato che in effetti «la vita della coppia scorre su binari di apparente normalità, ma ciò non la rende correa del reato. Per lei ciò che contava di più era poter rimanere in Svizzera affinché le figlie potessero avere una vita migliore e far durare il matrimonio era la sua unica possibilità». Sul fatto che poi lei inizia a cercare un altro uomo, e lo cerca benestante, è stato sottolineato: «Se qualcuno vuole esprimere giudizi morali è libero di farlo, ma non è il compito di questa Corte».

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