Bellinzonese

Cassis incontra Pompeo: 'La personalità di Trump divide'

La Svizzera preme per gli aiuti umanitari all'Iran. Il segretario Usa apre a Teheran. L'accordo di libero scambio resta indietro, ma saremmo 'partner naturali'

(Ti-Press/Keystone)
2 giugno 2019
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Iran, Venezuela, Russia e Cina, multilateralismo e naturalmente l’accordo di libero scambio. Questi i temi del dialogo di un’oretta fra Mike Pompeo e Ignazio Cassis al Castelgrande di Bellinzona (“che si chiama anche Castello di San Michele, come il suo nome”, ha subito notato Cassis durante la conferenza stampa, a mo’ di captatio benevolentiae). Ma è soprattutto l'apertura al dialogo con l'Iran – "senza precondizioni" – che ha colpito l'attenzione degli osservatori.

Nulla di nuovo è emerso sul fronte dell'accordo di libero scambio: al di là dei consueti buoni auspici – "siamo partner naturali", ha detto con tono mellifluo il segretario di Stato Usa – è evidente che le due nazioni sono ancora “alle fasi preliminari”. Pompeo ha invece subito ricordato che società americane come Lockheed-Martin sono in corsa per assicurare la nuova generazione di armamenti aerei e di terra alla Confederazione.

'No preconditions'

Un paio di novità interessanti è trapelato in merito all’escalation di tensioni fra Usa e Iran.

La prima riguarda la possibilità di un dialogo fra Iran e Usa. A una domanda della stampa americana, il segretario di Stato ha specificato che “non ci sono precondizioni” per riaprire le trattative con Teheran, e che anzi “siamo pronti a sederci con loro”. Magari sono solo promesse da marinaio, ma intanto quel “no preconditions” apre uno spiraglio: le 12 condizioni imposte da Trump all’Iran potrebbero non essere più uno sbarramento preliminare, ma piuttosto un obiettivo di medio termine per il dialogo.

Resta il fatto che, come ha detto Pompeo con toni bruschi, “potremo avere quella conversazione solo quando si comporteranno come un Paese normale” e cesseranno le loro “attività maligne”. E ha ricordato la ‘versione di Donald’ sul ritiro dal trattato sul nucleare: non è abbastanza efficace e non impedisce all’Iran di destabilizzare la Siria e tutto il Medio Oriente. 

Infine, in nessun modo si è alluso alla Svizzera nel ruolo di pontiere. “Siamo già intermediari, ma non possiamo essere mediatori senza la volontà di entrambe le parti”, ha chiosato Cassis giocando con le parole). 

 

Medicine a Teheran

La seconda novità riguarda il ‘corridoio di pagamento umanitario’ che il capo degli Affari esteri ha ulteriormente sollecitato, per permettere a cibo e medicinali svizzeri di raggiungere l’Iran; perché questo accada, gli Usa devono appunto sbloccare i canali di pagamento. “Siamo fiduciosi”, ha detto Cassis, parlando di “grande sofferenza” tanto della popolazione quanto degli osservatori internazionali.

Non è un tema nuovo, ma è importante notare come un via libera che pareva scontato non sia ancora arrivato: un certo scontento è parso trapelare dalle pur caute parole di Cassis, quando ha notato che “entrambi i Paesi hanno a cuore il multilateralismo", ma "loro da fuori, noi da dentro”.

Nessuna novità, invece, in merito al ruolo della Svizzera – che in Iran fa già da ‘portalettere’ degli interessi americani – nella liberazione dei cinque prigionieri iraniano-americani detenuti nella tremenda prigione di Evin, alla periferia di Teheran. Pompeo ha semplicemente ringraziato la Confederazione per il ruolo nel “visitare cittadini detenuti per ragioni del tutto ingiuste, che faremo di tutto per liberare”.

 

Trump danneggia gli Usa?

Un ultimo risveglio dal torpore della retorica diplomatica si è avuto quando un giornalista ha chiesto a Cassis se la presidenza Trump danneggia l’immagine degli Usa in Svizzera. Schivando gli imbarazzi, il ministro ha parlato di “una personalità molto profilata, che come tale divide”, migliorando l’immagine Usa percepita da alcuni e peggiorandola per altri. Per non sbilanciarsi, Cassis ha comunque premesso che “non spetta a uno Stato giudicare queste percezioni”. Piuttosto, ha sottolineato che “gli scambi economici fra i due Paesi non sono mai stati così buoni”. Pompeo ci ha messo il carico: “le nostre relazioni con la Svizzera sono molto pù solide di quanto non fossero durante la precedente amministrazione”. Beccati questa, Obama. 

Varie ed eventuali

Parole di circostanza, invece, quelle dedicate agli altri temi in agenda. Sul Venezuela, Cassis ha confermato che l’ambasciatore svizzero attende ancora l’approvazione da parte del presidente Nicolás Maduro per poter agire da ‘potenza protettrice’ degli interessi Usa, come in Iran; ma Maduro “esige reciprocità” dagli Usa, che a loro volta hanno indicato nella nemesi del presidente, Juan Guaidò, l’autorità da loro riconosciuta. Traduzione: l’impasse potrebbe durare ancora qualche tempo.

Quanto a Russia e Cina, Cassis ha aggiunto poco alle buone intenzioni di offrire la Svizzera come “piattaforma di discussione”. Più ficcante è stato Pompeo: ha ricordato che “all’aumentato accesso della Cina sul mercato svizzero non corrisponde un’analoga apertura del mercato cinese”, e ha ricordato i “rischi per la sicurezza” nell’affidarsi a tecnologie cinese (l’allusione qui è al contenzioso con Huawei, le cui tecnologie per le telecomunicazioni sono accusate di fungere da cavallo di Troia per Pechino). 

Viaggi e atterraggi

Come previsto, Mike Pompeo e Ignazio Cassis sono arrivati a Castelgrande attorno alle 11. Sono arrivati in auto, mentre alcuni elicotteri vegliavano su una città che al consueto deserto domenicale ha visto aggiungersi un capillare dispiegamento di agenti della polizia (e parecchie rogne per la circolazione). Si tratta della prima visita di un segretario di Stato americano in Svizzera da oltre vent’anni.

Ieri Pompeo aveva visitato Berna prima di recarsi a Montreux per l’incontro del Gruppo Bilderberg, che riunisce un’élite di politici, economisti, finanzieri, dirigenti e giornalisti da tutto il mondo per discutere di temi di attualità strategica (quest’anno Europa, Cina, Russia, cambiamenti climatici e molto altro).

Dopo la Svizzera, Pompeo farà tappa nei Paesi Bassi e nel Regno Unito prima di rientrare a Washington.

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