Bellinzonese

Giubiasco: con la Catalogna nel cuore e nella mente

(Emilio Morenatti)
29 settembre 2017
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La casa di Edwin e Nùria a Giubiasco brulica di persone: un neonato scruta il mondo in braccio al padre che lo culla per tutta la durata dell’intervista, bambini piluccano olive verdi dalla tavola e giocano facendo la spola fra divano e camerette, un cagnolino cerca attenzioni dall’improbabile cronista prestato per un giorno agli esteri. In questa sera di fine settembre il profumo intenso di pietanze sui fornelli indica l’imminenza di una cena tipica, mentre la mente e il cuore dei presenti sono rivolti alla loro Catalogna che si prepara al voto del 1° ottobre sul referendum per l’indipendenza convocato dal Governo locale. La capitale Barcellona e la Comunità autonoma – considerate fra le più ricche e produttive di Spagna, da secoli in disaccordo con Madrid su varie questioni di politica interna – sono da tre settimane sotto i riflettori per il braccio di ferro in corso col Governo centrale che per impedire il voto, ritenendolo illegale sulla base di una decisione del Tribunale costituzionale, ha inviato migliaia di agenti incaricati di blindare seggi elettorali, sequestrare schede, arrestare chi si frappone.

Tutto questo mentre altre Comunità autonome spagnole, sancite dalla Costituzione del 1978 al pari della Catalogna repressa dal franchismo, plaudono alla ‘spedizione coloniale’ voluta dal primo ministro conservatore Mariano Rajoy. Una frattura dalle mille incognite, fra chi sostiene che sia giusto consentire ai 7 milioni e mezzo di catalani di esprimersi e chi no, fra chi tifa per l’indipendenza e chi no. Attorno alla tavola di Edwin e Nùria, dove qualcuno ha votato per corrispondenza, emergono le sfumature. «Si può dire – attacca Carme, favorevole all’indipendenza – che i catalani sono d’accordo su diversi punti: vogliono la loro lingua finalmente riconosciuta, una migliore situazione di finanziamento a fronte della ricchezza prodotta e non reimmessa sul territorio da Madrid, e non vogliono più sentirsi considerati meno spagnoli degli altri, praticamente degli ‘espulsi’». «E chiedono anche che il loro parlamento sia veramente rispettato nelle proprie decisioni, spesso considerate anticostituzionali», aggiunge il marito Jordi, pure favorevole al referendum: «Inoltre – aggiunge – non credo proprio che il Paese andrà in rovina senza di noi». Riattacca Carme: «Si tratta di richieste rimaste sempre inascoltate. Basti pensare ai processi subiti dai politici che hanno anche solo promosso il dibattito sul referendum. Molti credono che un giorno la Spagna farà proprie le nostre richieste, molti altri ritengono il contrario. Io sono fra questi ultimi, perciò sostengo l’indipendenza. La Catalogna ha tutte le carte in regola per autodeterminarsi».

‘Ho votato scheda bianca, ma se mi trovassi là ora scenderei anche io in piazza’

Cristina la vede diversamente: «Non ho un sentimento indipendentista e non mi sento così patriota come Carme. Inoltre ritengo che l’iter scelto per questo referendum sia stato poco democratico. A ogni modo ho votato scheda bianca, un voto di protesta, perché riconosco che molte cose non vanno e che Madrid, anziché inviare le forze dell’ordine, avrebbe dovuto partire da questo referendum per migliorare i rapporti con la Catalogna. Mi trovassi ora a Barcellona, scenderei anch’io in piazza a manifestare contro i metodi abusivi del Governo centrale. Una sopraffazione accentuatasi negli ultimi tempi e che ha indotto a cambiare idea molti contrari all’indipendenza e molti indecisi». Jordi non condivide l’opinione sull’iter poco democratico: «La modifica della Costituzione spagnola è stata a suo tempo votata dal Parlamento nazionale sebbene i partiti non la considerassero un tema. Per contro, la legge approvata il 6 settembre dal Parlamento catalano è maturata nell’arco di 18 mesi su programmi di partito che includevano l’indipendenza. Il tema non è nato dal nulla: mentre la crisi economica in Europa ha favorito il diffondersi dei gruppi xenofobi e razzisti, da noi si dice abbia incrementato la voglia d’indipendenza. Personalmente ritengo che questa voglia abbia radici ben più lontane nel tempo».

‘Avrebbero potuto inviare i politici a dialogare, invece hanno mandato la polizia’

In particolare – evidenzia Edwin – le elezioni catalane anticipate del 2015 sono state vinte col 53% dalla nuova coalizione elettorale ‘Junts pel sì’ (Uniti per il sì) e da Candidatura d’unitat popular. Le quali facevano dell’indipendenza il punto principale del loro programma: «Già in quel momento, quindi, Madrid avrebbe dovuto prendere coscienza, in modo serio e proattivo, della forte richiesta di fondo. Invece di inviare subito i politici a discutere con i catalani, oggi risponde inviando la polizia. Cose mai viste, in tali dimensioni, negli ultimi 40 anni in Europa. Si critica spesso la Svizzera, ma un metodo federalista avrebbe contribuito a creare dialogo anziché distanza. Un solo esempio: riconoscere che in parlamento si possa parlare anche il basco e il catalano, anziché solo il castigliano, avrebbe favorito la coesione». Concorda la moglie Nùria: «Il programma elettorale dei partiti che hanno vinto nel 2015 era assolutamente chiaro e mirava a far votare la popolazione in un referendum legale basato sul diritto internazionale», dopo quello ritenuto nel 2014 privo di base legale dal Tribunale costituzionale e sfociato in una consultazione informale con un esito schiacciante (80%) a favore dell’autodeterminazione.

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