Bellinzona

I 68 firmatari della lettera sui post razzisti: ‘Basta odio e più giustizia’

11 agosto 2017
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«Non esultiamo ma speriamo davvero che l’inchiesta e ciò che ne conseguirà servano da deterrente per tutti coloro che utilizzano i social allo scopo di esprimere e diffondere odio razziale». Il gruppo di 68 persone che avevano firmato la lettera di segnalazione inviata in Procura commenta così, tramite la loro portavoce, la notizia da noi anticipata dell’apertura di un’inchiesta penale nei confronti delle due autrici di post su Facebook a sfondo razzista. Si trattava di esternazioni – accompagnate dall’auspicio che in molti altri facessero la sua stessa fine – a seguito della morte della 24enne caduta dal balcone in via San Gottardo a Bellinzona la sera del 3 luglio. Il reato ipotizzato nei confronti delle due donne è quello previsto dall’articolo 261 bis del Codice penale svizzero di discriminazione razziale, che può essere punito con una pena pecuniaria o detentiva fino a tre anni di carcere. L’obiettivo della segnalazione collettiva, come abbiamo già riferito l’11 luglio, era proprio quello di mostrare indignazione di fronte a pubblicazioni inappropriate e far capire a tutti i cittadini la possibilità di segnalare al Ministero pubblico post potenzialmente punibili dalla legge. «Speriamo di aver aperto la strada ad altre segnalazioni. Noi, se necessario, non ci fermeremo qui. A causa della nostra lettera siamo stati attaccati da alcuni politici sul loro profilo Facebook e vorremo far loro presente che dovrebbero dare il buon esempio e non rischiare di essere a loro volta segnalati», sottolinea la portavoce. Un po’ di rammarico riguarda le modalità di avvio dell’inchiesta penale condotta dal procuratore pubblico Arturo Garzoni: «Poiché si tratta di un reato perseguibile d’ufficio e dato che i post erano pubblici, ci siamo chiesti come sia stato possibile che l’inchiesta non sia scattata automaticamente ma solo dopo la ricezione della nostra lettera», fa notare.

I precedenti in Ticino

In Ticino un caso di discriminazione razziale sui social era scoppiato a fine gennaio del 2016: l’inchiesta “lampo” di sette giorni si era conclusa con un decreto d’accusa per un sergente della Polizia cantonale e la condanna a novanta aliquote giornaliere sospese per un periodo di 2 anni. L’anno prima la Procura aveva invece respinto la denuncia presentata da 67 cittadini per il fotomontaggio delle donne con burqa raffigurate vicino a sacchi dei rifiuti pubblicato nel 2014 su Facebook dal granconsigliere leghista Massimiliano Robbiani.

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