Commento

Yannick Buttet, resta solo la porta!

5 dicembre 2017
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Non c’è esempio più eloquente di quello in cartellone da qualche giorno sotto la cupola di Palazzo federale per spiegare cosa significhi per un partito (e anche per un suo esponente) essere in grado di fare una valutazione autonoma di carattere etico del comportamento di un proprio rappresentante. Sapersi cioè assumere le proprie responsabilità, indipendentemente da cosa farà o meno la magistratura, in virtù dei principi e dei valori, del proprio bagaglio etico, culturale e anche storico.
Il caso Buttet, che vede al centro del dibattito pubblico il consigliere nazionale (appartenente all’ala conservatrice del Pdc e difensore della famiglia tradizionale!), fermato dalla polizia perché stava per l’ennesima volta ‘stolkerando’ la sua ex amante, ripropone proprio questa questione.

Da un lato c’è il partito nazionale più che imbarazzato, perché Buttet occupa incarichi importanti a livello federale: è consigliere nazionale e vicepresidente del Ppd svizzero. Basta dunque una macchia – ma qui siamo di fronte a colpe già parzialmente ammesse! – per imbrattare tutto il partito nazionale. Se poi le macchie sono più di una, visto il vizio del bere, che lo portano ad assumere atteggiamenti di stalking all’ex amante vallesana finiti in Procura e – come poi è emerso – anche attenzioni inappropriate verso colleghe parlamentari e giornaliste a Berna, è chiaro che difendere un simile politico diventa pressoché impossibile. E inaccettabile.
Tant’è che i vertici nazionali del Ppd gli hanno da subito fatto capire che era il caso di farsi da parte e non solo di autosospendersi dalla carica di vicepresidente. Ieri, passato il fine settimana, Buttet si è dimesso dai vertici partitici, verosimilmente cinque minuti prima che i suoi lo destituissero.

I gravi fatti emersi non sono invece ancora stati da lui ritenuti sufficienti, per determinare una rinuncia alla carica di consigliere nazionale e di sindaco. Ci pare di aver capito che il politico abbia preferito guadagnare tempo, optando per una (comunque salutare) cura di disintossicazione dall’alcol e attendendo così fors’anche il risultato dell’inchiesta penale che lo concerne.

Ma, ancora una volta, ecco la domanda: un politico e, se necessario, lui in tandem col suo partito, non dovrebbe fare una schietta valutazione della compatibilità di quanto successo, dell’impatto dei fattacci sulla sua credibilità e saper tirare già da subito le sue conclusioni? La nostra risposta è sì. A perdonarlo, una volta disintossicato, sarà casomai sua moglie. Non la politica. Nel caso Buttet ancora una volta (dimissioni dalla vicepresidenza a parte), il deputato-stalker preferisce tirarla alla lunga, cavalcare l’onda, sperando che il tempo faccia dimenticare.

Un’ultima considerazione: scoppiato il caso sotto la cupola qualcuno ha chiesto l’apertura di una sorta di ‘sportello di consulenza’. Non esageriamo. Osiamo sperare che i deputati alle Camere (e i giornalisti al loro seguito) siano sufficientemente adulti e vaccinati da sapersi autonomamente tutelare da mani morte o peggio ancora…

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