Economia

Vent'anni fa è nato il 'gigante' Ubs

8 dicembre 2017
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Nasce un gigante: così titolava la stampa venti anni fa alla notizia della mega fusione tra l’allora Unione di banche svizzere e la Società di banca svizzera (Sbs), da cui è nata l’attuale Ubs.

A due decenni di distanza lo storico Tobias Straumann commenta: il matrimonio ha comportato la fusione di due diverse culture imprenditoriali. Decisive per il buon esito del connubio sono state le dimensione del neo costituito gruppo bancario: "negli anni Novanta, afferma Straumann, era in atto un processo di consolidamento del settore finanziario, non solo in Svizzera, ma a livello globale" e l’accorpamento aveva la sua logica: la Sbs era molto presente nel mondo anglosassone dell’investment banking ed aveva riserve di capitale relativamente limitate: "l’Unione di banche svizzere era l’esatto contrario".

Alla fusione si è giunti dopo numerosi tentativi. Sbs era stata corteggiata anche da Credit Suisse, che rimase però con un pugno di mosche in mano. L’allora Ubs e Sbs, spiega Straumann, avevano due culture commerciali diverse: Sbs, con sede a Basilea, era più anglosassone, più informale e meno orientata ai principi di anzianità". Ubs, con sede a Zurigo, "poneva invece l’accento sulla stabilità, era improntata sul modello svizzero ed era organizzata secondo una gerarchia di stampo militare".

Dopo la fusione si impose la cultura di Sbs, che a livello di management risultò dominante. Senza contare che la nuova entità dovette digerire un contraccolpo miliardario in relazione al dissesto dell’hedge fund americano Ltcm, un’eredità della vecchia Ubs, cui si aggiunsero altre perdite dovute alle crisi in Asia e Russia degli anni 1997-1998. "Questi problemi hanno fortemente indebolito la posizione di Ubs nel nuovo istituto", secondo l’esperto, e i manager di Sbs presero allora in mano il timone della nave.

Oggi, stando a Straumann, di quella diversità di culture non c’è più traccia. Ubs è diventata una banca internazionale e ai piani alti i manager svizzeri costituiscono soltanto una minoranza. L’istituto, dopo le difficoltà iniziali, ha saputo riprendere quota e nel 2005 ha archiviato l’esercizio con un utile record di 14 miliardi di franchi. Per poi inciampare però nel 2007 quando ha subito in modo particolarmente violento le conseguenze del crollo del mercato immobiliare americano, rimanendo invischiata nella cosiddetta "crisi dei subprime" che la portò sull’orlo del fallimento.

Senza l’aiuto della Confederazione, la banca in quell’occasione probabilmente non si sarebbe salvata. Attualmente, grazie alle nuove disposizioni e regolamenti statali, il comparto bancario è tutto sommato più stabile, afferma Straumann, ma i nuovi standard non basteranno ad evitare una nuova crisi finanziaria. "Bello sarebbe se la banche riuscissero da sole ad assorbire le perdite senza aiuti statali, ma è impossibile prevedere ora se l’obiettivo potrà essere raggiunto". Molto dipenderà dall’intensità delle crisi. "È comunque importante non rimanere a guardare nell’illusione che i pericoli siano scomparsi". (ats)

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