Commento

Un’occasione da non perdere

(Sean Gallup)
29 luglio 2017
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La forza del federalismo elvetico sta anche, se non soprattutto, nel fatto che ha la stessa qualità del lievito madre: se ben coltivato, si autoalimenta. Non muore mai. Ce ne rendiamo conto periodicamente con le non poche occasioni di confronto (e perché no, scontro) dialettico sulle molteplici sfaccettature di questa realtà non solo geografica che chiamiamo “Svizzera”. In primo luogo quella politica, saldamente ancora rappresentata dai partiti nati nell’Ottocento e non è cosa da poco, ma non è nemmeno casuale. Anzi. Chi, come gli svizzeri, vive quotidianamente la “difficoltà” della convivenza fra lingue, culture e religioni differenti, più di altri forse comprende la necessità di ritrovarsi sotto comuni ombrelli riadattati volta per volta, ma comunque necessari per proteggerci anche… da noi stessi. Dalle rivendicazioni partigiane, dalle ambizioni di potenza di questa o quella regione sull’altra, dalla sopraffazione del più forte. Il che non vuol dire evitare completamente le ingiustizie sociali, le differenze di ceto e le disuguaglianze economiche, ma non così sfacciatamente come altrove anche – ma non solo – grazie a quella necessità di costante e delicato equilibrio che permette a tutta la casa di restare in piedi. Perché altrimenti, detta brutalmente, la Svizzera cesserebbe di esistere. O comunque sarebbe un’altra cosa.

Orbene, l’elezione di un consigliere federale non può allontanarsi da quanto sin qui affermato. Non può prescindere dagli equilibri complessi che tengono in piedi il nostro federalismo. E infatti ogni volta, a ogni elezione, tutto torna in gioco. Detta altrimenti, l’elezione dei “ministri” federali – che spetta alle Camere, guardacaso, e non al popolo – è un pezzo di “lievito madre” che permette al federalismo di rigenerarsi. Comunque vada. Non sono mancati gli esempi, in un passato recente. L’elezione di Eveline Widmer-Schlumpf, nel 2007, è certo stato il caso più clamoroso. Un’elezione – avvenuta contro la volontà del partito “avente diritto” in quel momento, l’Udc – che ha animato non solo il parlamento federale, ma l’intero Paese che si è interrogato sul peso prevalente della concordanza o della rappresentanza di una parte.

Se è vero tutto questo, se in effetti l’esercizio della democrazia è al contempo autoalimentazione, beh anche in questa circostanza – la probabile elezione di un consigliere federale della Svizzera italiana – si dovrebbe saper cogliere l’occasione, soprattutto in Ticino ma anche oltre Gottardo, per meglio comprendere cosa vuol dire tutto ciò. Per meglio capire, di qua come di là delle Alpi, che lo stato attuale del federalismo elvetico ha bisogno di rigenerarsi ripartendo dalle contraddizioni regionali e in particolare da quelle vissute nelle realtà periferiche. Prima che sia troppo tardi per l’intero Paese. Prima di abdicare al caos del populismo. Qui, come in tutta Europa.
Ma qui in particolare il federalismo sa offrire occasioni invidiabili di democrazia partecipata. Buttarle dalla finestra è un peccato mortale, anche per chi non ha fede.

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