Commento

Un binario, due velocità

14 aprile 2017
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C’è un Ticino a due velocità? Se si confrontano alcune cifre, il sospetto prende forma. Vediamole. I conti consuntivi 2016 dello Stato hanno chiuso con un disavanzo di 47 milioni e 400mila franchi, quaranta e mezzo in meno rispetto a quanto preventivato. Non è ancora un pareggio tecnico, ma ci siamo vicini se è vero come è vero che il bilancio globale supera ampiamente i 3 miliardi e mezzo di franchi. Poi, certo, il capitale proprio resta negativo e il debito pubblico continua a salire, ma non si può pretendere la luna da chi, l’ente pubblico, deve tenere conto di non poche esigenze e altrettanti compromessi pena la messa in discussione del delicato equilibrio democratico. Appunto. Cosa dunque ci fa dire che se non siamo ancora a quel punto – la rottura del patto sociale fra chi amministra e chi è amministrato – si sta perlomeno iniziando a percorrere una strada pericolosa? I numeri, appunto. Eccoli. Sempre nel 2016 i ricavi fiscali del Canton Ticino sono cresciuti (+80 milioni di franchi) rispetto al consuntivo dell’anno precedente. Complessivamente, infatti, nel 2016 si sono incassati 1 miliardo e 898 milioni d’imposte a fronte del miliardo e 818 milioni del 2015. L’aumento ha coinvolto tutti, le persone fisiche come quelle giuridiche. Un buon segnale, evidentemente, perché se crescono le entrate fiscali significa che l’economia gira come “deve” girare. Ma gira per tutti? Sempre in queste ore – mercoledì sera per l’esattezza – il direttore del Dipartimento sanità e socialità (Dss) ha reso noto ai delegati popolari democratici l’importante aumento della spesa riferita, appunto, al suo dipartimento che – lo dice la parola – lavora in particolare per i meno agiati. Ebbene, Beltraminelli ha precisato che la spesa del Dss in soli cinque anni è lievitata del 20 per cento, pari a 240 milioni in più. E poteva essere ancora più imponente (di un’altra settantina di milioni) se non fossero nel frattempo intervenute alcune misure di contenimento, con effetti pesanti per i beneficiati, ma questo è un altro discorso. Oppure no. Questo in verità è il discorso: mentre da un lato l’economia ticinese continua a crescere – e l’aumento delle imposte cantonali è lì a dimostrarlo – dall’altro una fetta importante della popolazione (soprattutto anziana, ma anche famiglie monoparentali) versa in condizioni sempre più precarie, al punto da dover far ricorso agli aiuti sociali pubblici.

Non siamo ancora davanti a un Paese economicamente spaccato in due, ma certo anche alle nostre latitudini la piramide si fa sempre più affilata, con una base ipertrofica dove convive una comunità smarrita, composta da svizzeri e stranieri, perché non più in grado di prendere l’ascensore. Meglio, perché non più in grado di far prendere l’ascensore sociale almeno ai propri figli, come capitava sino a pochi anni fa.
Davvero c’è qualcuno ancora convinto che il mercato, da solo, sia in grado di metterci un pezza? Di smussare le differenze retributive? In verità forse mai come in questo periodo storico lo Stato sta svolgendo, dovrebbe svolgere, un ruolo determinante nella disciplina delle contraddizioni sociali. Perché assistiamo a una crescita “anomala” che non genera più lavoro stabile a salari dignitosi. La sottoccupazione, anche in Ticino, sta nascondendo il reale tasso di disoccupazione. Le finanze pubbliche sane, in un simile contesto, dovrebbero essere quelle che sanno ridistribuire, direttamente o indirettamente (con le leggi), un benessere diffuso, spalmato sulla stragrande maggioranza dei propri contribuenti. Compresi coloro che producono valore (perché “soggetti passivi” di mercato) e magari non ricevono un salario.

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