Commento

Un alleato serio e affidabile dell’Ue

6 dicembre 2017
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Esattamente venticinque anni fa popolo e cantoni dissero no all’adesione della Svizzera allo Spazio economico europeo, lo strumento giuridico proposto dall’allora Comunità europea per estendere anche ai paesi terzi dell’Associazione di libero scambio il nascente mercato continentale.

Fu proprio nel 1992 che gli allora sette membri dell’Aels (la Svizzera ne fa ancora parte) negoziarono un accordo in tal senso che sarebbe entrato in vigore due anni dopo. Ma proprio a seguito del no referendario del 6 dicembre di quell’anno, la Svizzera dovette seguire un’altra via, più tortuosa e giuridicamente più debole, per raggiungere gli obiettivi dello See che erano quelli delle famose quattro libertà di mercato su cui si basa una classica economia capitalistica (libera circolazione di beni, persone, servizi e capitali) e le relative politiche (concorrenza, trasporti, energia, nonché cooperazione economica e monetaria).

Ad alcuni movimenti politici (da destra a sinistra) quella via sembrò azzardata perché poneva le basi per entrare nella Comunità europea. Cosa che del resto avvenne per tre dei sette Stati aderenti all’Aels, ovvero Austria, Finlandia e Svezia. Islanda, Norvegia e Liechtenstein fanno parte, apparentemente senza contraccolpi politici ed economici, dello See. Lo statuto speciale, se così vogliamo chiamarlo, è stato concesso solo alla Svizzera e non è detto che tale continuerà a essere visto che da parte della Commissione europea si chiede di ‘istituzionalizzare’ gli accordi bilaterali in modo che si adattino più o meno automaticamente all’evoluzione del diritto comunitario. Fumo negli occhi per chi ha fatto dell’indipendenza e sovranità nazionale un prezioso capitale politico che paga elevati dividendi nelle urne.

I movimenti anti-europeisti non sono però una prerogativa svizzera. In molti paesi del Vecchio continente montano le proteste verso le istituzioni comunitarie spesso sorde a istanze ed emergenze locali. Pensiamo alla pessima gestione del fenomeno migratorio nel Mediterraneo e sulle rotte balcaniche o alla crisi finanziaria di qualche anno fa che mise in ginocchio le economie periferiche dell’Eurozona. Una crisi, quest’ultima, governata in ritardo e con piglio puramente tecnocratico che ha riacceso antichi e mai sopiti sentimenti anti-tedeschi. Insomma, la tanto decantata solidarietà europea è svanita appena sono stati messi in discussione primati e prerogative prettamente nazionali. Basta pensare alla Brexit conclamata o ai sogni indipendentisti dalla Catalogna alle Fiandre, passando per la Corsica. Oppure ai nascenti nazionalismi esteuropei che stanno riportando indietro le lancette della storia. Insomma, il sogno europeo non alletta più le popolazioni del Vecchio continente.

La Svizzera, pur con le sue maldestre sbandate corrette all’ultimo momento (pensiamo all’applicazione light dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa), si è dimostrata in questi anni un alleato serio ed affidabile dell’Unione europea. Ha contribuito una prima volta con un miliardo di franchi ai progetti di coesione europea nei paesi dell’Est e altrettanto farà nei prossimi anni (parlamento e referendum permettendo). Probabilmente la via dello Spazio economico europeo bocciata 25 anni fa avrebbe evitato ostacoli tecnici nati successivamente con i bilaterali (dal 1972 a oggi sono oltre 120 gli accordi siglati tra Berna e Bruxelles). Ma in un’epoca storica caratterizzata da strappi istituzionali (Brexit) e dalla crescente disaffezione verso il progetto europeo, il contributo svizzero a quest’ultimo non può andare oggettivamente oltre queste buone intenzioni.

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