Commento

Se torna la ragione

(Samuel Golay)
8 giugno 2017
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Alla fine è prevalso il buonsenso, che in politica significa decidere sulla base di quanto è possibile ottenere in quel preciso momento. Di più. Nel sistema politico elvetico, giusto per ricordarlo, il buonsenso consiglia altresì la concertazione istituzionale dal basso verso l’alto e dunque, in questo caso, dalle esigenze regionali verso quelle federali. Senza per questo penalizzare le prime. Dopo mesi di tira e molla, il governo ticinese ha finalmente deciso di rivedere l’ultimo ostacolo che bloccava la firma sotto gli accordi bilaterali Italia-Svizzera sull’imposizione fiscale dei capitali e dei lavoratori frontalieri: l’obbligo di presentazione del casellario giudiziale per i cittadini stranieri qui attivi con i permessi di dimora (B) e frontalieri (G). Una scelta attesa, perché promessa dopo non poche pressioni bernesi, ma non affatto scontata; prova ne sia che il Consiglio di Stato ha deciso a stretta maggioranza, tre contro due, e i contrari sono i “ministri” leghisti. La Lega dei Ticinesi, del resto, già ieri ha tuonato al tradimento.

Una decisione attesa, si diceva, soprattutto da chi – non pochi cittadini di questo cantone – auspica un ritorno alla politica ragionata, che non significa affatto di basso profilo come qualcuno vuole far credere. Anzi. Basta dare uno sguardo alle ultime vicende ticinesi per comprendere, con tutta la pacatezza del caso, quanto sia fallimentare la politica declamatoria e “muscolare” di chi cerca solo il consenso, elettorale e no. Vogliamo fare l’elenco degli ultimi mesi? La tassa di collegamento è congelata da un ricorso: lanciata come scudo contro il traffico dei frontalieri, se approvata dal Tribunale federale finirà per penalizzare soprattutto i residenti. L’albo degli artigiani, contestato dalla Seco: voluto per proteggere l’economia locale ha suscitato non poche polemiche oltre Gottardo e anche in Ticino. L’iniziativa popolare ‘Prima i nostri’: lanciata per favorire il lavoro dei residenti, finirà col coinvolgere, se va bene, solo le aziende pubbliche e parapubbliche dove i frontalieri, quando ci sono, sono fondamentali per la funzionalità delle stesse.

E ancora, il patentino obbligatorio per i raccoglitori di funghi: chiesto per proteggere i boschi e – soprattutto – limitare l’accesso agli stranieri, è stato bocciato dallo stesso Gran Consiglio grazie a un ragionevole colpo di coda. Ed è proprio con quest’ultimo voto che il Canton Ticino, parlamento in testa, si direbbe inizi a prendere consapevolezza del tempo sin qui perduto.

I demagoghi hanno acceso il fuoco, ma tutti gli altri (leggi i partiti una volta definiti “borghesi”) lo hanno alimentato, facendo a gara a chi soffiava più forte. C’è andata bene, perché tutto sommato non ci siamo ancora scottati davvero. E questo perché i veri problemi – riorganizzazione radicale del mondo del lavoro in testa – purtroppo non li risolviamo a Bellinzona. E si fatica a risolverli anche a Berna. Nel frattempo però in tutti questi anni, nel dai e dai della protesta fine a sé stessa, s’è perso per strada un bene tanto prezioso quanto quasi impalpabile finché c’è: la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. Ieri finalmente la maggioranza governativa ha deciso di cambiare registro e assumersi quelle responsabilità che avrebbe dovuto assumere ben prima. Ma come si dice, non è mai troppo tardi. Mancano ancora due anni alla fine della legislatura, ce la possono fare. Se davvero cambiano strada, non solo si porterà finalmente a casa un accordo bilaterale sulla fiscalità già nato zoppo, ma forse si recupererà anche parte di quella fiducia ormai mutata in rassegnazione.

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