L'editoriale

Se la paura batte la penuria

26 settembre 2016
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“Al posto della comunanza indotta dalla penuria subentra la comunanza indotta dalla paura”. Detta altrimenti, viviamo un’epoca sociale in cui “la solidarietà della paura nasce e diventa una forza della politica”. Lo scriveva ben trent’anni fa (‘La società del rischio’) Ulrich Beck, sociologo tedesco scomparso all’inizio dello scorso anno, e spiega bene, a nostro giudizio, quanto sta capitando da alcuni anni a questa parte in Canton Ticino ogni qualvolta si è chiamati a votare sugli stranieri e in particolare sul lavoro della manodopera estera, nello specifico frontaliera (che lavora qui e abita in Italia). Quella di ieri, poi, con ‘Prima i nostri’ è prova provata che la paura è ormai piattaforma di lotta e di governo per chi – come la destra ticinese – intende gestire il potere indisturbato grazie ai consensi generati, appunto, da una falsa percezione. Prova provata perché se davvero è tanta la preoccupazione per l’invasione della manodopera estera, altrettanto forte dovrebbe essere la risposta per combattere la causa di una simile situazione. Quella vera, beninteso, vale a dire l’incontrollata ed estesa flessibilità occupazionale che impone un ‘quando’ e ‘quanto’ a seconda delle bizze del mercato. Quando lavorare e per quanti soldi sono ormai in Ticino come altrove variabili quotidiane e incontrollate (dai salariati). È vero. La maggioranza dei ticinesi vuole si faccia di più e di meglio anche contro il dumping salariale, ma senza interferire nelle regole della contrattazione, ovvero nella contesa fra partner sociali come invece chiedeva l’iniziativa dell’MpS. Come dire, l’invasione dei lavoratori stranieri è un’emergenza e va trattata di conseguenza, mentre le condizioni di lavoro – dei residenti e degli stessi stranieri – certo ci preoccupano ma possono restare nel solco della normalità. Questo ha detto la maggioranza accogliendo il controprogetto all’iniziativa ‘Basta con il dumping’ e questo vuole la stessa maggioranza approvando l’iniziativa democentrista ‘Prima i nostri’ che manifesta sì la paura, ma non risolve il problema. Lo si sapeva prima e non è cambiato oggi. Non lo risolve perché la legislazione sul lavoro è di competenza federale, come ogni prescrizione di politica estera. Ora si farà un ‘gruppo di lavoro’ allargato anche agli iniziativisti e molto probabilmente si finirà nello stesso tunnel dove è caduto l’articolo 121a della Costituzione federale dopo il sì popolare del 2014 all’iniziativa contro l’immigrazione di massa. Solo settimana scorsa il Consiglio nazionale ha approvato un’ipotesi di progetto che già non piace agli iniziativisti e non si sa come la prenderà l’Unione europea. ‘Prima i nostri’ è uno slogan efficace, peccato però che l’efficacia in questo caso sia necessaria solo a generare la ‘comunanza della paura’ mentre si è ben lontani dal constatare una comunanza data dalla penuria di lavoro, denaro, opportunità sociali e culturali. Sarà anche perché giocare tutto sulla diversità nazionale costa meno (socialmente parlando) che battersela sulla differenza fra ceti. Meglio dunque continuare a chiudere gli occhi e mandare segnali (a Berna) che confermano, volta per volta, lo smarrimento diffuso. Al contempo, va pur detto, col voto di ieri s’intravede anche la volontà di rimettere al centro della discussione il vero nodo, checché se ne dica, delle contraddizioni sociali: le regole del mondo del lavoro. Evitando però di allargare il ‘conflitto’ che resta così individualizzato, cosa del singolo. E lo Stato sta quasi alla finestra. Finché scarseggia la comunanza della penuria...

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