L'analisi

Questo presidente non è ‘normale’

17 gennaio 2017
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Forse neppure Vladimir Putin pretendeva tanto. L’attacco ad Angela Merkel, il sostegno incondizionato alla Brexit, la dichiarazione di obsolescenza della Nato, sono andate oltre la generica insofferenza espressa da Donald Trump verso tutto ciò che è “vecchio” nelle relazioni internazionali e la professione di stima di cui il presidente russo è beneficiario. È bene tenerlo presente, perché nel confronto tra potenze, più della “simpatia” conta la forza. E chi ne sta accumulando negli scenari internazionali di maggior frizione è appunto Putin, a dispetto di un quadro economico e sociale interno in costante degrado. Dunque non sono oziose le domande sulla ratio delle dichiarazioni di Trump. Se cioè sono espliciti i suoi bersagli, non così chiaro è l’obiettivo, o meglio: la consapevolezza dell’esito delle sue sparate. La lode della Brexit potrebbe avere una spiegazione immediata: offrire a Londra una sponda, un mercato, crescendo le tensioni con l’Unione europea e rischiando i prodotti del Regno Unito di vedersi pregiudicata la libera commercializzazione oltre Manica. Per averne in cambio una rinnovata lealtà (peraltro mai messa in discussione) e fungere da esempio “virtuoso” agli occhi dei nazionalisti che in almeno tre Paesi (Olanda, Francia, Germania, e magari quattro con l’Italia) affronteranno la prova elettorale cavalcando l’antieuropeismo. Ne discende che l’attacco a Merkel – solo pretestuosamente a riguardo dei migranti – sembra diretto al fulcro stesso dell’intera costruzione europea. Impegnata in una lunghissima campagna elettorale appena cominciata, la cancelliera non potrà permettersi errori. Indurla a compierne sarebbe un successo per chi vuole indebolire lei e di conseguenza l’Europa nei confronti soprattutto di Mosca, essendo al riguardo quella di Merkel la voce più considerata (se non la sola) dal Cremlino. Quanto alla Nato, quelle di Trump sembrano più parole in libertà che l’anticipo di un piano già organizzato in progetto. Non solo perché la Nato è l’etichetta sotto la quale gli Usa dispongono in Europa di libertà di movimento militare senza paragoni nel resto del mondo, ma anche perché è stata l’adesione all’Alleanza, prima e ben più di quella all’Unione europea ad aver certificato il passaggio al blocco atlantico dei Paesi dell’ex patto di Varsavia, orgoglio e vanto di molti dei neocon richiamati in servizio da Trump medesimo. Perché Trump lo fa? Per ingraziarsi Putin. Ma la risposta è insufficiente. Le affinità tra i due possono, per ipotesi, anche arrivare all’identità. Salvo su un elemento decisivo: che, a differenza del primo, il secondo non deve rendere conto a nessuno, parlamento, opinione pubblica, né (per ciò che appare) apparato militare. E questo gli assicura un vantaggio tattico incolmabile. Perché, di nuovo, Trump lo fa, mettendosi contro il proprio apparato di intelligence, gli alleati dell’intero dopoguerra, una parte non trascurabile della propria opinione pubblica e del Congresso che pure controlla? Perché, paradossalmente, è sbagliata la domanda se ha ragione il ‘Guardian’, secondo cui un presidente “normale” non reggerebbe a un cumulo tale di contraddizioni (e non stiamo a elencare quelle di politica domestica), mentre Trump non lo è. Non è tranquillizzante, no. Ma forse è da qui che bisogna ripartire. 

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