Commento

Post razzisti, l’indagine sia celere

(Gabriele Putzu)
11 agosto 2017
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Succede sempre più di frequente, anche nelle democrazie cosiddette evolute: dove non arrivano buon senso, decenza e autocontrollo, arriva la magistratura. Purtroppo. Perché a governare le azioni umane dovrebbero essere anzitutto cuore e cervello. La realtà è invece un’altra: non di rado comportamenti e parole cozzano contro valori che crediamo universalmente riconosciuti, che prescindono da leggi e codici e sui quali si regge, perlomeno in teoria, una sana convivenza. Un’affidabile cartina di tornasole di questa realtà sono certe esternazioni sui social, derivanti (pure, ma non solo) da un uso distorto di Facebook e affini in quanto considerati zona franca, dove tutto è permesso, dove non esiste confine tra lecito e illecito. Lo confermano i post a sfondo razzista apparsi subito dopo il tragico decesso, ai primi di luglio, della giovane mamma eritrea precipitata dal balcone di un palazzo a Bellinzona, per cause ancora da chiarire (gli inquirenti sospettano dell’accaduto il marito, lui si dichiara estraneo ai fatti). Una delle autrici degli inqualificabili messaggi si rallegrava addirittura della morte della 24enne africana... Ora si apprende – vedi la ‘Regione’ di ieri e l’edizione odierna a pagina 9 – dell’avvio di un procedimento penale per discriminazione razziale a carico delle due donne che hanno postato i vergognosi commenti. Un passo atteso, e da salutare senz’altro positivamente, quello del Ministero pubblico, sollecitato dalla segnalazione di un gruppo di cittadini indignati dal contenuto dei post. L’auspicio è che l’inchiesta venga chiusa in tempi brevi e che l’esito della stessa sia prontamente divulgato dalla Procura affinché la sua decisione funga, qualora gli accertamenti dovessero sfociare in una proposta di condanna, da deterrente nei confronti di chi ritiene che nel mondo online ogni cosa sia concessa.

Se le autrici delle incriminate esternazioni via social verranno riconosciute colpevoli del reato loro contestato, confidiamo in una pena non esemplare, bensì equa. Nella speranza che la (eventuale) sanzione possa ricordare ai tanti fruitori di social network un concetto, tanto semplice e fondamentale, quanto negletto, spiegato da Roy Garré, giudice del Tribunale penale federale, in un’intervista rilasciata al nostro giornale lo scorso autunno: “Non va dimenticato che, utilizzando internet per scopi criminali, non si agisce soltanto nel mondo virtuale, ma anche in quello reale, dove in definitiva si trovano le vittime in carne e ossa di tipici reati come truffe, estorsioni, abusi sessuali, spionaggio eccetera: tutti illeciti sanzionati dal Codice penale”. E nella lista dei reati contemplati dal Codice figurano altresì quelli contro l’onore e quello di discriminazione razziale, piuttosto diffusi sui social.

Non si parli di censura o non ci si appelli alla libertà di espressione, invocata sovente a vanvera per sdoganare calunnie e odio. Libertà di espressione non significa licenza di insultare. In una società aperta al dialogo e al confronto non ci sono temi tabù e si possono sostenere tesi anche controverse senza ingiuriare. Purché si abbia la capacità di argomentare, che andrebbe appresa a scuola e in famiglia e che un impiego improprio dei social annulla.

Non tutto è perso però. Nell’attesa di conoscere la decisione della magistratura concernente i post razzisti sul decesso della giovane eritrea, va elogiata l’iniziativa di quella settantina di persone che, con senso civico e con coraggio (proprio così), hanno manifestato il loro sdegno di fronte a inammissibili esternazioni, rivolgendosi al Ministero pubblico. Incoraggiante. Il grado di civiltà di un Paese lo si misura anche da simili azioni.

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