Commento

Polvere di (5)Stelle

13 giugno 2017
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È davvero troppo presto per un requiem in memoria dei 5Stelle. Un movimento che è la seconda forza in parlamento, che si è intestato le sindache di Roma e Torino, il cui capo fa “bef” e tutti ne scrivono, non è ancora un cadavere politico, e la trasparente soddisfazione con cui la grande stampa italiana ne ha registrato il rovescio patito nel turno elettorale di domenica è forse affrettata. Le ragioni e il contesto che spiegano e hanno favorito la crescita dei 5Stelle non sono mutate, infatti. Un quadro che se da un lato spiega il successo grillino, specularmente ne motiva la batosta subita, in un paradosso solo apparente.

Perché è proprio in una situazione di degrado dei legami sociali, di distacco crescente tra la società e la sua rappresentazione in politica, che l’intuizione di Grillo e Casaleggio si è imposta come una apparente alternativa: facendo balenare la possibilità che la sola incazzatura bastasse a trasformare ambizioni personali in buona politica e buona amministrazione; a fare di un “vaffa” un programma politico; a trasformare (questo capolavoro post-sociale) la comunicazione in sostanza, facendo equivalere un clic non tanto a un voto, ma a una coscienza civica matura. E certamente ha funzionato e ancora funziona. Ma per gli stessi motivi e per propria natura, questo discorso può alienarsi un consenso che era apparso inscalfibile, destinato solo a crescere. La superficialità e la volubilità dell’elettorato sono il carburante che più di ogni altro fanno girare il motore della demagogia, ma sempre si è visto che si tratta di crediti a riscossione immediata: chi promette di cambiare tutto e cambia solo qualcosa, si è giocato l’intera posta.

E qui siamo alla questione amministrativa: cambiato qualcosa? Che cosa? Non era inevitabile, ma altamente probabile che le candidature locali grilline subissero i contraccolpi dei passi falsi compiuti dal movimento a livello nazionale (per non dire della fallimentare prestazione di Virginia Raggi a Roma). È destino proprio di questi movimenti dipendere, ai loro livelli più bassi – nel caso specifico: subalterni – dalle fortune o dai rovesci del capo (o semplicemente dalla sua presenza) o dei suoi più vicini portaordini. E anche solo limitandoci agli ultimi mesi, l’elenco delle loro manifestazioni di malafede o ingenuità o semplicemente stupidità politica si è arricchito a dismisura. Dalle firme false di Palermo, alla figuraccia sulla legge elettorale, per dirne due. Potevano i candidati sindaci sfruttare la luce di Grillo senza finire nell’ombra dei Di Battista ?
E poi, non slegato dal tutto ma con variabili locali importanti, anche in questa occasione, il movimento ha scontato la difficoltà estrema di dotarsi di un ceto amministrativo e politico all’altezza delle pretese (salvo disfarsene con ignominia quando ne avesse uno, come nel caso di Pizzarotti a Parma; o smascherare da sé la spudorata balla delle primarie online, come è accaduto a Genova).

Un fallimento inevitabile e un problema esistenziale per un partito che rifiuta di essere tale, e disdegna filtri e mediazioni. Un fallimento senza attenuanti, perché è pur vero che nei 5Stelle non militano soltanto i “vaffatori” di un giorno, ma anche cittadini che hanno dimostrato capacità e meriti su diversi dossier di importanza locale. Fatica sprecata.

Grillo, con qualche ragione, rinvia alle elezioni politiche il vero confronto. Non può fare altro: su quel solo scenario può avere ancora chance di successo beffandosi di avversari incredibili e screditati. Ma, città per città, paese per paese, il suo è uno spettacolo già visto. Continui a farlo, sembrano aver detto gli elettori, a Roma.

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