Commento

Politicizzati a loro insaputa

28 aprile 2017
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C’è un dato, fra i tanti presentati recentemente dall’Osservatorio della vita politica regionale (Ovpr) sulle elezioni politiche ticinesi 2015, che ci fa riflettere. Quello sulla scheda senza intestazione di partito. Se considerata una lista a tutti gli effetti, stiamo parlando della terza più votata in Ticino due anni fa. Ma c’è appunto il se. Perché in realtà – contrariamente a quanto ritiene chi la vota – lista indipendente non è: i voti personali lì espressi, infatti, partecipano al “bottino” sì dei singoli candidati scelti, ma anche dei partiti che li presentano. Chi vota la lista non intestata ed esprime preferenze per dieci candidati di almeno quattro partiti, per dire, finisce col dare un pezzettino di voto a ben quattro liste invece che a una sola. Paradossalmente, la crocetta espressa sui candidati della lista senza intestazione di partito può trasformarsi nella più politica di tutte.

La premessa è necessaria perché abbiamo la sensazione che quanto detto sopra non sia affatto chiaro agli elettori. Anzi, più che una sensazione è una certezza data l’analisi dell’Ovpr secondo cui chi sceglie la scheda non intestata dichiara uno scarso interesse nella politica cantonale, debole discussione sui temi politici, nessun impegno militante e non si situa nella scala sinistra-destra. In sintesi “esprime un generico sentimento antipartitico”. Non solo. Sempre costoro – che nel 2015 hanno scelto la scheda senza logo di partito – hanno un giudizio negativo sulla situazione economica personale e su quella ticinese. Sono insoddisfatti. C’è molta somiglianza, dicono ancora i ricercatori, con il profilo di chi invece si astiene.

Riassumendo. La lista senza intestazione di partito è un “artificio” tecnico voluto per aumentare la partecipazione ma che di fatto premia – può premiare – diverse liste (un tot di queste preferenze, infatti, corrisponde a una scheda di partito tanto quanto quelle riportate nella lista intestata o grazie al panachage), ma chi ne fa uso è convinto del contrario. Di più. Non vuole proprio aver a che fare coi partiti ticinesi e però, suo malgrado, partecipa alla crescita dei medesimi.

Tutta colpa, si dirà, della personalizzazione della politica che non per forza è una brutta cosa. Anzi. Coltivare un rapporto diretto coi singoli candidati, a prescindere dalla loro appartenenza politica, è giusto e democraticamente auspicabile. E però, a nostro giudizio, lo è altrettanto comprendere cosa c’è “dietro” il candidato; quali ideali, progetti, sogni e speranze coltiva la collettività (il partito?) che lo propone e lo sostiene. La politica serve anche a questo; a sigillare un patto fra molti e diversi ma con esigenze simili, magari anche solo contingenti. Ma tant’è.

La conclusione, volendone tirare una? L’esercizio dei diritti politici dovrebbe essere sempre garantito in modo chiaro e semplice. Tecnicamente non si può dire il contrario per il Canton Ticino, perché la legge non premia l’ignoranza. Già. Un bell’alibi, in ogni caso, per tutti coloro – i partiti in forte crisi d’identità – che hanno interesse a mantenere le cose come stanno.

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