L'analisi

Mutter Courage e i suoi calcoli

31 maggio 2017
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Ad Angela Merkel potrà forse fare difetto lo stile, ma non il fiuto: se Emmanuel Macron ha vinto le presidenziali francesi rivendicando il merito del progetto europeo e sconfiggendo gli argomenti della favorita di Putin e Trump – può aver pensato la cancelliera tedesca –, perché questo non potrebbe ripetersi in Germania, di qui a tre mesi?

Si sa, non è la matematica a muovere la politica, ma non si può escludere che nelle critiche, non esplicite ma ben riconoscibili, di Merkel a Donald Trump vi sia stato del calcolo: anche per lei, ormai in campagna elettorale per le legislative di settembre, due più due ha un risultato obbligato e ha dunque senso lavorare per confermarlo.

Ma non c’è soltanto del calcolo, e più di un elemento porta a ritenere che lo scenario internazionale sin qui conosciuto stia subendo un importante mutamento. La Brexit, ma soprattutto l’avvento di Trump alla presidenza degli Stati Uniti, associati alle manovre revansciste di Vladimir Putin, stanno cioè costringendo le leadership europee a scelte di campo nelle quali le collocazioni accomodanti o le sfumature dialettiche hanno sempre meno spazio. Mai come in questi tempi, le spinte disgregatrici intestine ai diversi Paesi, ma endemiche in tutto il continente, hanno disposto di tanti e tanto potenti “protettori” esterni.

La Washington di Trump o la Mosca di Putin alimentano i sogni di gloria dei ducetti locali, e a loro volta se ne servono come guastatori delle residue velleità di status di governi e istituzioni europee. Ai quali poco resta da fare, se non inseguire i nazionalismi sul loro terreno (e dunque finire nella loro trappola) ad esempio sul tema della migrazione; o trasformare la difesa in attacco.
È la scelta che sembra avere assicurato la vittoria a Macron in Francia (d’accordo, anche grazie all’escamotage di accreditarsi come estraneo al “sistema”) ed è la strada che paiono avere imboccato in Germania Merkel e (anche in questo caso per complementari ragioni di concorrenza elettorale) il partito socialdemocratico.

Così si è visto il neopresidente francese “cantarle” a Putin, tuttavia accogliendolo a Versailles come per una cerimonia di reintegro nella sedicente “comunità internazionale”; e allo stesso modo si sono sentite le parole di insolita “franchezza” rivolte da Merkel e dal suo ministro degli Esteri Sigmar Gabriel a un Trump che, va pur detto, se le è cercate.

Calcolo, rettitudine, casualità: non sarebbe la prima volta che un riorientamento politico di portata non episodica si produce quasi all’insaputa e al di là della volontà di chi lo ha originato. Ma, tutto sommato, non sarebbe un male. Siano coraggio, azzardo, opportunismo, velleitarismo, millanteria – e con tutto che prefigurare oggi, sulla scorta di due soli episodi, scenari “luminosi” per l’Europa sarebbe ridicolo – il “coraggio” di Macron e quello di Merkel rendono almeno l’idea che per l’Europa (quale che sia la forma che le si voglia dare) la partita non è ancora persa. Ne verrebbe del buono a tutti.
 

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