L'analisi

Le scorie del Russiagate

14 luglio 2017
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La fretta dei due congressmen democratici che hanno chiesto di avviare la procedura di impeachment per Donald Trump è in definitiva proporzionale al tasso di futilità, mediatica e politica, che si va accumulando attorno al cosiddetto Russiagate.
Che uno spregiudicato affarista con solidi interessi economici in Russia abbia cercato in ogni modo di estendere il proprio business anche laggiù, lisciando il pelo – e verosimilmente gonfiando il portafogli – di oligarchi e uomini del governo, è perfettamente coerente con il culto del successo professato negli Usa e altrove. Che, specularmente (e facendo valere la reciprocità degli interessi), il potere russo abbia scommesso su di lui una volta conosciute le sue ambizioni presidenziali, si accorda alla discutibile ratio delle relazioni internazionali. E non fa comunque rimpiangere i tempi in cui Washington e Mosca imponevano manu militari i “propri” candidati nelle capitali di rispettiva influenza.

Ma è ben probabile che una esageratamente libera interpretazione di questa già cinica dinamica abbia “preso la mano” agli attori di questa vicenda. Ai Trump, in particolare. Che infatti più di tutti rischiano di uscire con le ossa rotte dalla vicenda. Più senz’altro di quel Cremlino che ha già ottenuto ciò che voleva, il proprio favorito alla Casa Bianca e la sua doppia vulnerabilità: quella domestica, rappresentata dalla sempre più incombente accusa di tradimento; e quella che discende dalla sua ricattabilità da parte di chi indebitamente lo ha sostenuto.

Cosicché, anche in questa circostanza si conferma l’inadeguatezza di quell’uomo al ruolo che riveste. Scoop su scoop (fake news sul fake news, nella sua interpretazione opposta), seppure il reato di tradimento non venga ancora dimostrato al di là di ogni dubbio, a confermarsi sono l’indole e la pratica bugiarde e fuorilegge del presidente e dei suoi accoliti, familiari o stipendiati. Ultimo il figlio che – consigliato nientemeno che dall’illuminato Julian Assange – ha reso nota la corrispondenza elettronica con la legale moscovita che gli offriva rivelazioni devastanti, di origine governativa russa, contro Hillary Clinton. “In nome della trasparenza”, ha sostenuto. Balla finale che si aggiunge a tutte quelle con le quali avevano negato, lui e il babbo, ogni contatto con funzionari russi. Questo è.

E basterà forse ad anticipare l’uscita di scena del bullo che ha preso dimora alla Casa Bianca? È improbabile. L’artiglieria mediatica che bombarda da mesi il quartier generale è stata troppo a lungo al suo servizio per essere definitivamente credibile. Il partito democratico a sua volta troppo compromesso per non tradire la strumentalità della propria crociata anti-Trump. E quello repubblicano che, accecato dall’ideologia, aveva accettato di farsi rappresentare da un simile figuro pur di cancellare ogni eredità di Obama, non ha tempo né un’alternativa su cui investire.
Lo scenario è dunque quello di un inesauribile stillicidio di rivelazioni e passi falsi che azzopperanno un’anatra già malridotta, il cui passo sghembo non finirà di far danni ancora a lungo.

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