L'analisi

L’America che fa paura

31 gennaio 2017
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In meno di una settimana, il caos. La crisi non si dissolverà come un temporale estivo. I decreti amministrativi promossi a raffica con inquietante baldanza hanno seminato confusione e scompiglio. Stranieri regolarmente muniti di visto bloccati negli aeroporti, Paesi musulmani iscritti sulla lista nera (salvo quelli, come l’Arabia Saudita, che fanno business con Trump), bandiere americane bruciate in Messico, parlamentari Usa disorientati di fronte al vuoto legislativo che lascia l’abrogazione immediata, seppur parziale, dell’Obamacare. Ormai pronto, stando alla Cnn, un decreto che impone a tutti gli stranieri, turisti compresi, di indicare siti web, indirizzari, recapiti di conoscenti. Il presidente “scoppierà in volo”, soccomberà sotto il peso della sua follia? – si chiedono ormai in molti –. Smentiti i soloni che vedevano in Trump l’uomo del riscatto, un pragmatico capace di annacquare i suoi eccessi elettorali una volta insediato al 1600 di Pennsylvania Avenue: il “commander in tweet” ha confermato in questi primi dieci giorni surreali di essere quell’uomo “unfit to lead”, non all’altezza, come aveva ammonito Barack Obama. Irascibile, egocentrico, imprevedibile: fughe di notizie (ormai quotidiane) dal suo stesso staff parlano di atteggiamenti da bimbo umorale e viziato. Altro che “make America great again”: l’autorevolezza della superpotenza sembra sciogliersi come neve al sole. Con le sue firme compulsive, il magnate nuovayorkese è riuscito in un batter d’occhio a fare degli Usa il Paese di tutte le inquietudini. Robert Kagan, autorevole intellettuale conservatore, aveva ammonito: così nasce il fascismo. Una messa in guardia eccessiva, si spera. Nella prima settimana, nove “executive orders” improntati tutti alla punizione: contro i messicani, contro le Ong, contro i bassi redditi che beneficiano dell’assicurazione malattia, contro i musulmani (a grande soddisfazione dell’Isis che in tutto questo vede la prova provata dello scontro di civiltà islam-occidente). Proclami che fanno della data del suo insediamento la “giornata della devozione patriottica”, nomine inquietanti, come quella di Steve Bannon, vicino ai movimenti della supremazia bianca, al Consiglio per la Sicurezza nazionale. Senza dimenticare affermazioni astruse del tipo “il mondo è un grande pasticcio, il mondo è arrabbiato” che hanno consegnato al presidente, nel celebre programma satirico ‘The Daily Show’, le sembianze di Joker, il sadico personaggio di Batman: capace di tutto, psicotico, vanitoso. Chi ha voluto leggere la figura di Donald Trump in chiave strettamente partigiana deve ricredersi: c’entra anche la politica, certo, ma è il carattere a presentarsi sul proscenio, come mai prima d’ora, con i suoi allarmanti aspetti: diventa dominante a tal punto da suscitare una vivida e crescente preoccupazione anche nei ranghi repubblicani, con l’anziano senatore John McCain in prima fila a ricordare retaggio e valori della destra. L’America ha sempre diviso l’opinione internazionale per la sua posizione dominante: potenza indispensabile per gli uni, impero prevaricatore per gli altri; ma mai teatro di quell’estremismo che oggi precipita nello sconforto buona parte del Paese e suscita aperta inquietudine nel mondo.

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