L'analisi

L’agenda jihadista

(David Armengou)
18 agosto 2017
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Nell’agenda dei terroristi le priorità sono ben altre. Nel giorno in cui la stampa spagnola dava conto della decisione del Parlamento catalano di votare il 7 settembre la legge per lo svolgimento del referendum indipendentista, un terrorista alla guida di un camion ha cercato la strage a Barcellona. Sulla Rambla, cioè una tappa obbligata di quel turismo internazionale nei cui confronti, in Catalogna, si erano moltiplicate le manifestazioni di insofferenza. Cosette, agli occhi di chi persegue uno squilibrato disegno di “riconquista” mondiale.

Uno scarto sincronico, ma soprattutto di concezione del mondo che la dice lunga sulla distanza abissale che separa il “nostro” mondo – con le sue “piccole” ambizioni, i suoi contrasti, le sue pretese – da quello vagheggiato dagli ideologi della guerra santa. Che cosa sono, agli occhi di chi si pretende inviato dal Cielo, una rivendicazione indipendentista, il fastidio per l’indifferente invasione di un turismo massificato?
La forza di questo terrorismo (il cui livello di organizzazione non va comunque enfatizzato) risiede, certo, in un contesto che genera esclusioni e alimenta risentimenti di cui si nutrono i “martiri” che rispondono alla chiamata. Ma in questo volgere della storia, il vantaggio insuperabile dei predicatori apocalittici è costituito dall’aver saputo fornire un orizzonte (folle ma ai loro occhi plausibile) alle migliaia di individui dall’identità smarrita.

In altre parole, finite nel sangue o nell’ignominia le grandi narrazioni occidentali del Novecento, l’Islam propagandato dall’Isis (prima ancora da al Qaida e tuttora nelle moschee in mano ai wahabiti inviati nel mondo dall’Arabia Saudita) è rimasto la sola ideologia universalista in vita. Capace di attrarre e motivare come un tempo riusciva solo al socialismo internazionalista.

Mettiamoci dunque la Spagna, dove accorse, ottant’anni orsono, un’internazionale resistente per difendere la Repubblica, e pensiamo (eventualmente, e lecitamente detestandoli) agli internazionalisti del jihad partiti per la Siria, per una ragione ai loro occhi non meno nobile, e forse capiremo l’epocale portata del ribaltamento in atto.
Un rovesciamento di prospettiva che costa fatica enorme, persino esistenziale, per essere compreso. Che impone di riconsiderare ciò che a lungo abbiamo ritenuto assodato, definitivo. E di misurare nella loro povertà le ambizioni particolari che nelle nostre società stanche hanno surrogato la venuta meno capacità di “veder lungo”. Diversamente, vinceranno “loro”.

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