L'analisi

La solitudine di Angela Merkel

21 dicembre 2016
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In mancanza di un colpevole accertato, alla sbarra per la strage di Berlino è già finita Angela Merkel. Nella propaganda dell’opposizione nazionalista e dei populismi di mezza Europa, la sua politica (pur ondivaga) di apertura ai profughi dal Medio Oriente, vale da prova di correità con gli autori dei crimini più odiosi dell’islamismo radicale. Non è così, ovviamente, ma, come teorizza una corrente reazionaria particolarmente in auge, oggi una politica di successo non deve più basarsi sui fatti, ma sulla reazione, pilotata, “della gente” ai fatti. Quando poi questi ultimi sono della specie di quanto è avvenuto a Berlino, diventa oltremodo difficile argomentare con la lucidità e la dirittura richieste, anche per una cancelliera sperimentata e calcolatrice come Merkel. La sua campagna elettorale per conquistare un quarto mandato alla cancelleria non poteva aprirsi in modo più tragico. Merkel paga in un certo senso, e con un fondo di paradosso, l’essersi esposta a favore dell’accoglienza dei profughi come nessun altro capo di governo europeo ha fatto. Parigi si è tenuta ben al riparo (pagando comunque un prezzo elevatissimo di vite); Roma (con fondate ragioni) si è schermata dietro lo sforzo già prodotto a causa di una collocazione geografica che fa delle sue sponde meridionali l’approdo ‘naturale’ dei migranti, specie da quando l’accordo Ue-Turchia ha interrotto il flusso verso la Grecia; Londra, non parliamone; per non dire di Varsavia, Budapest… È ben vero che Merkel, fiutando l’aria, ha più volte corretto il tiro, ma a descrivere la situazione in cui si trova basta da sola l’irrisione rivoltale da Alternative für Deutschland subito dopo la strage di Berlino: “Sei contenta di quello che hanno fatto i tuoi amici?”. Il fatto è che oggi la gestione del fenomeno migratorio, in termini di politica di accoglienza e di sicurezza, richiede ai governi visione e capacità che sembrano loro mancare, e assegna alle opposizioni nazionaliste (o ex opposizioni, dove siano arrivate al governo) un vantaggio crescente nel discorso pubblico, alimentato di volta in volta da quegli stessi crimini ideologici che i leader populisti pretendono di saper debellare. Questa opposizione di inadempiuti doveri degli uni e di rabbiose velleità degli altri vizia un confronto che invece richiederebbe un’attitudine consapevole e responsabile. Esattamente ciò che manca oggi In questo quadro drammatico, non limitato alla Germania, ad Angela Merkel tocca un ruolo di guida: tenere la rotta anche nelle circostanze più avverse e dolorose. Non è detto che ne sia all’altezza (penalizzata da una sospetta inclinazione all’opportunismo), benché sembri la sola a poterlo essere. A doverlo essere: basta guardare al resto d’Europa per rendersi conto di questa necessità. Ne discende che un suo fallimento sarebbe quello di tutti, e che oggi niente può scongiurare definitivamente questa eventualità: dalle aggressioni di Colonia allo stillicidio di attentati, fino alla strage di Berlino, l’arretramento delle posizioni “coraggiose” di Merkel è proseguito parallelamente alla perdita di consensi di cui, in un regime democratico, un politico ha pur bisogno. E se questo è vero, e poiché i fallimenti si producono non necessariamente all’improvviso, ma soprattutto per esaurimento delle energie, la prospettiva è nera.

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