L'analisi

La metamorfosi di Trump

(Alex Brandon)
10 aprile 2017
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Disorienta l’attacco Usa di venerdì alla base siriana di Shayrat. Difficile per molti osservatori e pubblicazioni, come il ‘New York Times’, non ammettere una certa soddisfazione per la rappresaglia contro il massacro al gas nervino. Ma al tempo stesso come non porsi interrogativi sulla coerenza politica e chiedersi dove si fermerà la prossima volta “la pallina nella roulette mentale di quest’uomo – Trump – dalle personalità multiple” (‘laRepubblica’).

Mentre sono subito ripresi i voli dell’aviazione siriana e i bombardamenti (questa volta con bombe convenzionali) su Khan Sheikum, la città devastata dal Sarin, si moltiplicano le prese di posizione sul voltafaccia dell’uomo che in 140 caratteri si era opposto all’ipotesi di un attacco Usa contro il regime di Damasco («non attaccare la Siria – ammonì in un tweet a Obama – se lo facessi accadrebbero cose brutte»). Trumpiani, populisti alla Marine Le Pen e complottisti vari alle diverse latitudini sono le vittime ideologiche collaterali dei 59 Tomahawks lanciati dai due cacciatorpediniere Usa: ma come, ‘America First’ non era lo slogan del nuovo corso? Pure una certa sinistra che tiene in bacheca i busti di qualche dittatore anti-americano, da Putin ad Assad, e che plaudeva discretamente al neoisolazionismo yankee, è colta in contropiede di fronte alle immagini insostenibili del massacro chimico. Dal cilindro si estrae la consumata linea di difesa: non ci sarebbero le prove dei crimini del regime siriano, ci vorrebbe un’inchiesta internazionale ecc… Trump scombussola le carte: i falchi neo-conservatori che lo avevano abbandonato brindano al buon senso ritrovato. Ma anche molti progressisti al Congresso, come Nancy Pelosi, acerrima nemica di Trump, salutano la decisione del presidente: l’opinione pubblica non capirebbe se la superpotenza lasciasse morire asfissiati i bambini senza reagire. Lo stesso Trump ha rivelato di aver dato l’ordine di bombardare proprio dopo aver visto le immagini dei bimbi uccisi («Nessun bambino di Dio dovrà mai più subire un tale orrore», ha spiegato il presidente dal Trump International Golf Club, in Florida). Dichiarazioni che sollevano pesanti perplessità: che strategia cela questa logica emotiva? Anche perché la stessa sensibilità Trump non l’ha certamente mostrata nei confronti dei rifugiati siriani – bimbi compresi – a cui ha chiuso ermeticamente le porte.

Kathleen Hicks, nota analista politica del Centro Internazionale di Studi Strategici (Csis) spiega i mutamenti improvvisi con la personalità del presidente: istintivo, imprevedibile, indisciplinato. Un cocktail sconcertante. Forse anche per scrollarsi di dosso l’immagine del burattino di Putin, Trump è riuscito di colpo ad inimicarsi Mosca proprio mentre riceveva in Florida, al Mar-a-Lago club, il suo resort preferito, Xi Jinping presidente di una Cina fino a qualche giorno fa confinata nei ranghi dei ‘bad guys’. Certo l’Isis continua a rimanere il nemico numero uno dichiarato di Washington, ma come conciliare questa priorità con il bombardamento dell’aviazione militare siriana? L’impressione, avvalorata dal caos, i dissidi, i siluramenti nell’amministrazione, è che vi sia soprattutto molta improvvisazione. Nei fatti, tra l’impegno di aumentare il budget militare, di rilanciare la corsa alle armi nucleari, l’escalation con la Corea del Nord e il nuovo corso siriano, l’interventismo appare tutto fuorché superato. Ma a quale strategia risponde il nuovo corso Trump? Forse a nessuna: a chi gli chiedeva ragione delle sue metamorfosi repentine Trump ha risposto: «Mi piace essere imprevedibile».

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