L'analisi

La governance che manca

(Andrew Medichini)
29 maggio 2017
|

Non che i precedenti summit costituissero delle pietre miliari della storia diplomatica, ma quello di Taormina è certamente da porre sul più alto gradino del podio dell’inutilità. Il flop del G7 suggella anche il declino della leadership americana: quella nazione che per Franklin Roosevelt aveva un appuntamento con il destino, è ora solo una brutta copia di una superpotenza politica e ancor meno di una potenza morale.

Trump con la sua “violenza verbale e fisica” (‘le Monde’) ha affossato il multilateralismo. Il settimanale tedesco ‘Der Spiegel’ ha a sua volta scritto in un editoriale dai toni estremamente espliciti che il capo della Casa Bianca è un “boss misero”, che è “capriccioso, impreparato”, e che costituisce “una minaccia per il mondo”. Già entrate nella storia di questo fallimentare doppio appuntamento (Nato-G7) le immagini che hanno fatto il giro del mondo e che immortalano lo spintonamento di un Trump accigliato e impettito ai danni del premier montenegrino.

Poco a suo agio in un contesto di dialogo con i tradizionali partner degli Stati Uniti, il presidente americano lo è sembrato molto di più nella sua tappa saudita che ha preceduto la visita europea. Nello sfarzo, nello sfavillio di luci, ori e cristalli dei palazzi del regime wahabita, l’inquilino della Casa Bianca aveva pochi giorni prima ritrovato l’ambiente a lui più congeniale.

Poco importa che quello saudita sia di fatto il Paese che meglio incarna gli ideali dell’Isis (applicazione letterale della Sharia, messa al bando delle minoranze religiose, sottomissione delle donne, crocifissioni e decapitazioni quotidiane), poco importa che il terrorismo trovi linfa e soldi proprio in quelle lande: il deal da 110 miliardi in armamenti suggella ancora più che in precedenza il primato degli interessi delle grandi lobby sui principi e sui disegni strategici complessivi.

La dottrina Trump sembra ridursi a interessi monetizzabili a corto termine. Forse non ci si poteva attendere molto di più da un imprenditore che ha costruito il suo impero sulla speculazione edilizia. È dunque una sorta di “Usa contro tutti”, l’America versione Trump presentatasi in Europa. Di riflesso l’Ue, già in crisi istituzionale per le sue dinamiche interne, vede traballare il tradizionale partenariato ereditato dalla Seconda guerra mondiale. La rinascita di un binomio forte come fu quello tra Helmut Schmidt e Valéry Giscard d’Estaing non appare realistica.

Il G7, come ha scritto un osservatore, ha fotografato un mondo che sta scomparendo. Proprio nel momento in cui le grandi sfide richiederebbero una forte “governance” mondiale. Sintomatico l’atteggiamento piccato di Angela Merkel, l’unica leader che sembra mantenere una statura di statista all’altezza delle grandi sfide: la cancelliera che ha fatto della lotta al riscaldamento climatico un principio improrogabile, si ritrova ora – dopo aver costruito un dialogo costruttivo con Obama – un presidente che con non poca baldanza considera il “climate change” alla stregua di una “fake news”.

Dopo la fine del mondo bipolare con la caduta del muro di Berlino nel 1989, stiamo verosimilmente assistendo alla dissolvenza dell’egemonia, politica, militare e morale americana. Fra un mese il G20, che meglio – in particolare per la presenza cinese – rispecchia gli attuali equilibri mondiali, ci farà capire se per lo meno in quella sede emergerà una volontà di affrontare le grandi sfide globali alla quale si sono sottratti gli Stati Uniti d’America.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔