L'editoriale

Il paradosso ticinese

12 gennaio 2017
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Viviamo nell’epoca della post-verità, ovvero della “verità su misura” che ognuno di noi si confeziona sulla base di emozioni e pregiudizi. Un terreno fertilissimo per la politica (Donald Trump è stato l’ultimo e più clamoroso esempio) perché se tutti hanno ragione, nessuno ce l’ha e dunque si può dire e fare di tutto e di più. Come accanirsi sul bilancio di gestione del Canton Ticino, da anni sottoposto a un vero e proprio “stress test” da quei partiti convinti che sul “risparmismo” si guadagnano punti elettorali. Teoria tutta da dimostrare – anzi, dati i risultati delle ultime elezioni cantonali si direbbe il contrario – ma pur sempre in auge perché vincente resta il linguaggio che la supporta (le famose mani in tasca ai contribuenti). Ed è quello che capita puntualmente ogni anno, il Preventivo. Il 2017 resterà però negli annali come il miglior paradosso della politica ticinese. Breve riassunto. Conti figli di una severa manovra finanziaria (tagli e risparmi per 200 milioni) approvata lo scorso settembre dalla maggioranza parlamentare, si presentano a dicembre con un disavanzo di 33,7 milioni: il più basso degli ultimi vent’anni. Bocciati per tattica politica, vuoi perché svuotati di contenuto (avevano già deciso tutto a settembre), vuoi perché si vuole mettere la Lega con le spalle al muro. Il Preventivo di quest’anno torna in Commissione della gestione e la Lega, è notizia di martedì scorso, chiede ulteriori risparmi (alla voce beni e servizi); contrari gli altri, se ne esce con la proposta di tagliare comunque altri 20 milioni, ma a discrezione del Consiglio di Stato, entro il prossimo aprile. Dove e perché? Non è affar loro. Si fa cenno alla sempre buona “revisione dei compiti dello Stato”, formuletta felice perché carica di buone intenzioni senza nessun riscontro concreto. A fine mese il Preventivo tornerà in aula col rischio di una seconda bocciatura, questa volta per colpa della Lega che da un lato cova la vendetta e dall’altro ha bisogno di profilarsi maggiormente per non diventare a tutti gli effetti il partito del potere. In sintesi, i conti dello Stato sono solo un pretesto – e dati i numeri non potrebbe essere altrimenti – per alimentare post-verità, o anche tattiche alla fine della fiera trite e ritrite, che ricordano una politica considerata superata. A parole. In un contesto come quello appena descritto, fanno notizia i dati sulla disoccupazione ticinese considerati bassi se riferiti solo alle cifre della Seco, preoccupanti se inseriti in un quadro più ampio che considera flessibilità e precarietà del lavoro. I senza lavoro iscritti agli Uffici regionali di collocamento (con o senza indennità) si aggirano sulle 6’500 unità. Se a questi aggiungiamo chi è occupato temporaneamente o svolge programmi occupazionali, si raggiungono i 9’000 casi, ovvero il 5% della popolazione. Il lavoro tiene, ma peggiora in qualità professionale e redditizia (vedi crescita della sottoccupazione) con conseguente peggioramento delle condizioni di vita. E la politica cantonale che fa? Per risparmiare taglia ancora, come già in passato, le prestazioni sociali (assegni per i figli, per le famiglie, le cure a domicilio). Risparmi, come detto all’inizio, poco comprensibili perché inseriti nella logica del post-fattuale; coi fatti veri c’hanno poco a che fare. Perché sarà senz’altro un bene avere lo Stato in buona salute finanziaria, ma non è il caso che i suoi cittadini – per raggiungere lo scopo – nel frattempo vivano in maggior precarietà finanziaria e culturale. Cui prodest, dunque? P.S. – È singolare che anche la Lega oggi sia schierata sul fronte risparmista, quando in passato Giuliano Bignasca ha sempre gridato ai quattro venti che il debito pubblico è l’ultimo dei problemi. Precursori della post-verità.

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