Racconto della settimana

Il misterioso signor Wallace

13 novembre 2015
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Wallace mi riaccompagnò nel salotto e mi lasciò solo mentre si cambiava. Feci il giro delle scansie piegando la testa per leggere i titoli dei libri che vi erano stipati. Nomi sconosciuti: Philip Morton, David Ford, Frank Johnson. Sembravano i nomi usati nei western all’italiana. E i titoli erano di quelli che non restano in mente, tutti un po’ uguali: Le gallerie dell’orrore, Il castello maledetto, La segregata del monastero di P., I cellieri di Villa Lombroso, Gli anfratti del terrore, Il misterioso signor W., Le catacombe di Monfalcone.

–     Possiamo andare, signor Brooks? – risuonò la voce di Wallace facendomi sussultare.

Non l’avevo sentito arrivare. Forse era da un po’ che aspettava sulla soglia e mi osservava. Era vestito con un completo grigio scuro e un cappello di feltro nero. L’anziana inserviente, con il suo candelabro sempre acceso, ci accompagnò alla porta e uscimmo. Ripercorremmo il viale alberato e a un certo punto infilammo uno stretto sentiero tortuoso sulla sinistra. A poca distanza si materializzò una casa con grandi finestroni al pianterreno e una fila di finestre più piccole al piano di sopra. Giunti davanti all’entrata, lessi sullo zerbino: Benvenuti in Casa Usher. E mi venne in mente il nome: Price, Vincent Price. Wallace maneggiò il suo mazzo di chiavi e aprì la pesante porta. Tutto era nuovo, ancora intatto. Attraversato un angusto vestibolo, entrammo in un grande salone con un tavolo massiccio e intorno sette sedie. Davanti a un maestoso camino, un tappeto spesso era contornato da sette poltrone di pelle disposte a semicerchio attorno a un tavolino di radica. Sulla destra, una larga scala arcuata portava al piano di sopra.

–     Venga, signor Brooks, le mostro le camere degli scrittori.

Arrivati al piano superiore c’immettemmo in un lungo corridoio. Contai sette porte, tre per lato e una in fondo. Su ciascuna porta era affissa una targa. La scritta della prima camera a sinistra diceva Mai più. Wallace scelse una chiave dal suo mazzo e aprì la porta. Non avevo mai visto un ambiente più tetro e angosciante. Sul davanzale della finestra un grande corvo imbalsamato spalancava l’enorme becco sotto due occhi luccicanti come cristalli neri. Un tremito febbrile mi attraversò dalla cima della testa alla punta dei piedi. Mi accorsi che Wallace mi guardava di soppiatto.  

–     Si sente bene, signor Brooks? Mi sembra un po’ pallido.

–     Non è niente. Forse le scale. Sono un po’ fuori forma.

–     Le piace questa camera?

–     È, come dire, particolare.

–     Certo. Deve essere particolare perché qui devono nascere romanzi particolari, vivi, con l’anima.

Richiuse e incrociammo il corridoio. Aperta la porta con la scritta Il pozzo, mi vennero le vertigini.

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