L'editoriale

Il baby e la bambina

25 giugno 2016
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La fantapolitica è realtà, l’incubo di Cameron pure. La Brexit è passata e ora trascina con sé due grandi incognite.
La prima, più immediata e subito avvertita, è l’incertezza, che ha fatto pesantemente ballare i mercati finanziari, salire gli investimenti nell’oro bene rifugio, flettere il costo del petrolio e, naturalmente, indebolire sterlina ed euro.
Fino a quando? Fino a quando non sarà messa alla prova la seconda, ben più grande incognita, chiamata tenuta dell’Unione europea. È su questo delicatissimo fronte che si sta giocando la scommessa più grande. Perché ad allontanarsi dall’Unione è stata una nazione che pur non avendo partecipato alla sua fondazione, ha comunque avuto e ha un peso economico e politico-strategico determinante, che è stata capace non da ultimo di assicurare e garantire un legame privilegiato fra Europa e Stati Uniti. Un Paese che ha storicamente dato un contributo essenziale alla riconquista della pace nel nostro continente unitamente alla Francia e agli alleati.
Ora che il Regno Unito si è auto-isolato, già a poche ore dalla proclamazione del risultato del voto, alcuni leader populisti europei hanno iniziato a chiedere a gran voce di imitare gli inglesi anche nei loro Paesi: ovvero di indire un referendum analogo, per dare la parola ai cittadini preoccupati da una coriacea crisi economica e dall’arrivo dei migranti. Benzina sul fuoco acceso da Londra.
Non vi è dunque chi non veda, in questa mossa (che potrebbe ispirare una quarantina di partiti europei e dare il via a una trentina di referendum), già rivendicata dalla Le Pen in Francia, tanto per fare un esempio, la minaccia maggiore per l’unità europea. Sarà anche per questo che alcuni leader europei hanno già premuto sull’idrante, cercando di spegnere l’incendio e difendendo l’idea-madre dell’Unione europea, che deve continuare a (r)esistere cambiando: cambiando almeno un po’.
Sullo sfondo c’è comunque una sfida epocale, che è la stessa sopravvivenza dell’Unione europea. Istituzione costruita pezzo per pezzo, non scordiamocelo, per salvaguardare la pace, l’unità e la prosperità del continente. Valori altissimi. Valori che i padri dell’Europa avevano ben presenti, perché, insieme ai loro popoli, uscivano da due guerre mondiali. Macerie e milioni e milioni di morti. Se qualcuno arriva dunque a riscomodare il loro spirito – quello degli italiani De Gasperi e Spinelli, del francese Monnet, del tedesco Adenauer, del francese Schuman – è perché le generazioni passano, gli ideali che furono scintilla sbiadiscono e i nuovi e crescenti populismi stanno ricominciando a ruggire e a pigiare sul gas dei nazionalismi. Questi ultimi potrebbero portare a nuove divisioni fra Stati, chiamate – per farle apparire convenienti – autonomie. Ma nei fatti finiremo per indebolirci tutti e divenire potenziali prede di chi ha pesanti interessi economici o geopolitici. L’orso russo ad esempio.
Il pericolo maggiore della Brexit, superato questo grave momento di incertezza dei mercati, è quindi quello dell’effetto domino. Un eurodomino che si sa come parte, ma non si sa dove finisce. Se frammentazione sarà, significherà altre tensioni, incomprensioni e il rischio che i pezzi del puzzle europeo disfatto diventino soggetti di altre influenze geopolitiche. Il baby inglese ha scelto la doccia fredda. Noi, sull’isola elvetica, molto lucidamente ci auguriamo che gli altri Paesi europei non lo seguano e, insieme all’acqua, non buttino a loro volta a mare il bambino. O meglio la bambina: una bambina fragile, pasticciona, alle prese con grossi problemi, ma una bambina di pace e sicurezza. E scusate se è poco.

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