Culture

'Ho bisogno della mia libertà di pensiero': è iniziato il viaggio di Ligabue con 'Made in Italy'

Ligabue
15 febbraio 2017
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Atto primo: tutti e 14 i brani del concept album “Made in Italy”, uscito poco più di due mesi e certificato triplo platino, nell'ordine esatto in cui sono stati pubblicati, con tanto di “visual” a tenere il filo del racconto. Atto secondo: un tuffo nel passato, con alcuni dei suoi classici, scelti tra il 1990 e il 2010, «per mandare a casa la gente contenta».

Insomma, dopo i problemi ala gola che lo hanno costretto a ritardare la partenza, Luciano Ligabue si è rimesso in movimento con “Made in Italy - Palasport 2017”, «per raccontare l'ultimo disco ai ragazzi, andando a casa loro»: 55 date in programma nei palazzetti di 26 città fino a maggio, per un totale di circa 370 mila spettatori totali, dopo il via ieri sera da Acireale, in Sicilia. Il 12 maggio tappa a Lugano.

Nonostante l'edema alle corde vocali, però, dice il Liga, «non ho seguito Sanremo, preferisco le serie tv». E poi: «Non mi era mai successo prima: ho dovuto fare i conti con questa nuova vulnerabilità e questo mi ha segato le gambe. Ma o mi fermavo 10 giorni ho rischiavo uno stop di sei mesi», ha spiegato il rocker di Correggio dopo le due ore e un quarto di concerto, durante le quali non si è risparmiato regalando ai fan una versione acustica di “Non è tempo per noi” e di “Lambrusco e pop corn”: «Siamo moderni, suoniamo ancora gli strumenti», ha scherzato.

«È stata dura aspettare, anche perché avevo voglia di tornare, di raccontare il mio disco, che non è un disco politico, ma l'espressione di un sentimento non risolto, di un amore non corrisposto verso l'Italia, della frustrazione per tutto ciò che non funziona. Ma questo non ha a che fare né con la sinistra né con la destra. Sono deluso: avevo creduto che fosse possibile che la politica si occupasse degli ultimi, che non li lasciasse indietro. Ma sono contento di aver avuto quella illusione».

Per raccontare il suo smarrimento, la sua delusione ha scelto di affidarsi a Riko, protagonista del racconto e suo alter ego. Un povero diavolo in piena crisi esistenziale, economica, familiare: «Quelli come Riko, non hanno voce, non c'è nessuno che li racconti». Nessun ricetta pronta in tasca, però. «Ce l'hanno tutti, io no».

In un mondo liquido, in trasformazione come quello in cui stiamo vivendo, perdono di significato anche le definizioni alle quali siamo stati da sempre abituati. Come 'comunista': «La parola 'comunista' ormai non so che senso abbia. Io so di venire da una famiglia comunista e da sempre sono simpatizzante di sinistra, ma non ho mai preso la tessera di nessun partito. Ho bisogno della mia libertà di pensiero».

Politica a parte, il personaggio di Riko sarà anche quello che riporterà Ligabue dietro la macchina da presa, dopo “Radiofreccia” e “Da zero a dieci”. «Ci sono due motivi che mi hanno tenuto finora lontano dal cinema: durante Radiofreccia è nato mio figlio, mentre giravo Da zero a dieci è morto mio padre, ed è come se fossi rimasto scottato da quella esperienza. E fare un film è una fatica boia, ci vuole una pazienza che io non ho, la soddisfazione che ne ricavi è infinitesimale rispetto a quando la gente canta davanti a te e poi devi stare lontano dalle scene per un anno. E poi l'alibi era che non avevo una storia. Adesso la storia c'è. Sto pensando però a una nuova struttura di film. Ho in mente Quadrophenia».

Riko-Luciano, intanto, farà il giro d'Italia, con una scaletta che cambierà per 4-5 canzoni ogni sera. E ci sarà spazio anche per una data di beneficenza il 27 aprile a Reggio Emilia.

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