L'editoriale

Faglie culturali

13 aprile 2016
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Lo scontro di culture e di religioni continua a produrre effetti indesiderati e altamente a rischio. Si è da poco aperto il dibattito sul caso del ragazzino che a Basilea ha rifiutato di stringere la mano alla sua docente per motivi religiosi, con la successiva pronta reazione della ministra Sommaruga che, senza titubanze – mentre l’istituto scolastico si è impantanato in perizie giuridiche – ha dichiarato che la concessione è assolutamente inaccettabile e che lei aveva un’altra idea di integrazione. Commentando questo fatto avevamo scritto che chi viene nel nostro Paese deve sapere che qui esistono regole di base del vivere comune sulle quali non si può transigere e che, chi non è pronto a farle sue dovrà quindi bussare ad altre porte. Se ricordiamo tale vicenda, è perché, sotto i nostri occhi, se ne sta aprendo un’altra. Questa volta fra la Svizzera, che ha inviato in Nigeria un ambasciatore omosessuale, e le ferree disposizioni legislative anti-gay che vigono nel Paese africano. Regole che vietano di mostrarsi in pubblico con un congiunto dello stesso sesso. A detta della stampa locale il governo nigeriano avrebbe aperto già un’inchiesta nei confronti del compagno brasiliano di vita dell’ambasciatore. Mentre a Berna per il momento non risulta nulla. Coerenza vorrebbe che anche in questo caso si facesse lo stesso ragionamento, cioè quello già fatto per la scuola basilese: ovvero, visto che in Nigeria la legge – anche se fondata su convinzioni religiose (ma ciascuno è libero di fare quello che meglio crede in casa propria) – prevede un divieto, quest’ultimo va rispettato. Ragione per la quale la Svizzera non avrebbe dovuto inviare ad Abuja un ambasciatore omosessuale. Tanto più che il lavoro diplomatico è proprio la tessitura di buone relazioni. Ma c’è un ma. Per noi gli orientamenti sessuali non contano. Come non contano il colore della pelle, il censo o il sesso. E, da quando ci siamo liberati da questi retaggi, abbiamo fatto un deciso balzo innanzi nel rispetto dei diritti dell’Uomo. Proprio su questo caso e su questi aspetti, il dibattito politico si è subito diviso fra chi – come scritto sopra – condanna la scelta del Dipartimento degli affari esteri e chi, invece, è pronto a difendere la scelta di Berna. Difenderla affermando che cosa? Che, siccome la Nigeria non rispetta i diritti fondamentali dell’Uomo, è il Paese africano a essere fuori norma. Quindi, proprio la presenza di un ambasciatore omosessuale può attirare l’attenzione su una questione fondamentale, anche e soprattutto per tante persone che laggiù saranno discriminate e condannate al silenzio. Ma un ambasciatore deve servire anche a questo? Giunti a questo punto, vie d’uscita ve ne sono solo due, esattamente opposte. L’ambasciatore potrebbe restare in Nigeria fino al termine del mandato, rischiando di diventare un caso politico-giudiziario al beneficio dell’immunità. Oppure, senza troppi clamori, potrebbe succedere che lo si sposti anzitempo altrove. In entrambi i casi ci chiediamo se il precedente farà sì che, d’ora in poi, Berna, prima di decidere come muovere le pedine diplomatiche, valuterà anche aspetti intimi, quali la tendenza sessuale del proprio personale diplomatico. Se così sarà, saremmo noi i primi a rinunciare a una conquista fondamentale e a fare un passo indietro nella garanzia dei sacrosanti diritti dell’Uomo. Un altro delicato dibattito è lanciato lungo le nuove faglie culturali.

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