Commento

Due metà di un intero

4 agosto 2017
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È una guerra in famiglia. Nel senso letterale del termine. Destinata a spaccare i salotti a metà: da una parte il figlio che ama l’hockey, dall’altra il nonno che segue il calcio. Col padre nel mezzo, che non sa bene da che parte stare. E che, suo malgrado, prima o poi dovrà scegliere. E se, democraticamente, in famiglia dovesse prevalere la passione per l’hockey, i Rezzonico e i Bernasconi si dovrebbero abbonare a Upc Cablecom. Se, al contrario, la spuntasse il calcio, la scelta cadrebbe su Swisscom Tv. Ma, nella prima delle due ipotesi, i Rezzonico e i Bernasconi dovrebbero passare a un’altra tecnologia, quella della ricezione via cavo. Infatti, pur se altre opzioni sono allo studio (ma, appunto, si parla pur sempre solo di indagini), l’unica piattaforma su cui si potrà ricevere l’offerta del nuovo canale Mysports è la via cavo. Ciò che – detto per inciso – è anche logico, visto che Upc altri non è se non un cabloperatore. E, per dirla con Simon Osterwalder, il direttore di Suissedigital, l’associazione nazionale che raggruppa gli operatori via cavo, l’idea di togliere l’hockey a Swisscom Tv, che già deteneva i diritti per il campionato di calcio, era l’unica praticabile per consentirle di fare la differenza sul mercato.

Già, il mercato. Quello libero, che finisce col produrre un’imprevista scissione tra il disco e il pallone swiss made, con il nullaosta della Commissione per la concorrenza. La quale, a metà luglio, ha deciso di non dar seguito a una richiesta di Swisscom, che accusava Upc di abuso di posizione dominante, dopo il rifiuto di quest’ultima a cederle parte delle partite. Gli inizi del conflitto, però, risalgono al luglio di un anno prima, quando Upc è diventato il detentore dei diritti del campionato di hockey, assicurandoseli per cinque anni al ragguardevole prezzo di oltre 35 milioni di franchi a stagione. Ovvero quasi il triplo sborsato dal rivale nel precedente contratto con la Lega svizzera di hockey. Lega che, ricordiamolo, è composta dai club, i quali sono senz’altro più interessati a monetizzare (si parla pur sempre di un milione in più, a testa, ogni anno) che a diffondere il prodotto in ogni salotto del Paese. Risultato? Un Paese metaforicamente spaccato a metà. Pur se, questo è vero, nessuno impedisce agli appassionati di fruire di entrambe le offerte. Che è poi la condizione indispensabile (e anche onerosa) per assistere in tivù sia al massimo campionato di hockey, sia a quello di calcio. Ovvero gli appuntamenti più seguiti in Svizzera, al netto degli sport d’importazione. Ma – domanda – lo sono al punto tale da spingere gli utenti a una migrazione di massa non solo da un operatore all’altro, ma addirittura da una tecnologia a un’altra? Col rischio, poi, forse, di dover cambiare di nuovo fra cinque anni, magari all’arrivo di un terzo attore?

Una cosa, però, è certa: chi tifa Ambrì o Lugano e non ha intenzione di cambiare, se non vuole (o non può) andare allo stadio si dovrà accontentare. Mai come quest’anno, a quanto pare, visto che anche i derby potrebbero non essere più in ‘chiaro’ (pur se Upc e Ssr starebbero ancora trattando). Nei playoff, invece, l’offerta rimarrà invariata. Un motivo in più per non veder l’ora che arrivi il 10 marzo.

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