Commento

Dissuasiva, non ancora preventiva

10 agosto 2017
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“Danneggiamento dell’erba del campo da gioco per 800 franchi”. Tale, secondo la difesa, avrebbe dovuto essere la pena per il 24enne hooligan del San Gallo che il Tribunale penale federale ha invece condannato a tre anni di reclusione, in parte sospesi con la condizionale, per aver lanciato petardi e fumogeni allo stadio di Lucerna. Un fatto grave già di per sé, reso ancor più grave dalle sue conseguenze, su tutte il ferimento di una persona (lesione irreversibile all’udito).

Sull’erba bruciacchiata, ci sia consentito un sorriso amaro, più che divertito. Lungi da noi addentrarci in questioni giuridiche complesse, le stesse che la difesa cavalcherà per impugnare una decisione che rimbalzerà al Tribunale federale. Da ignoranti in questioni di diritto, ci sia però concesso considerare maldestro il tentativo di declassare il lancio di petardi e fumogeni – pericoloso e illegale nella misura in cui i primi sono considerati ordigni, quindi materia esplosiva – al danno arrecato all’erbetta della Swissporarena.

Torto morale, lesioni gravi, ripetuto danneggiamento (del campo da gioco) e ripetuta violazione della legge federale sugli esplosivi: di che farne un fatto grave. Per il quale è giusto che finalmente chi se ne macchia, ne risponda davanti alla giustizia penale.

Giustizia è fatta, quindi, ma non ci si illuda: una sentenza di un giudice, per quanto dura possa essere, è un atto dovuto ma al massimo può spaventare chi nel gruppo si fa forza (la maggior parte...), ma in cuor suo prima di combinarne un’altra ora ci penserà due volte. Serve, ma non è la soluzione. Dissuade, forse, ma non previene.

Premesso che alla suddetta soluzione lavorano da tempo commissioni e gruppi di studio, impegnati su un fronte ampissimo che spazia dalla psicologia alla sicurezza, senza che si sia giunti a una svolta vera e propria, è comunque quanto le società sportive auspicavano: che qualcuno andasse fino in fondo e desse un senso agli sforzi promossi in direzione dello sradicamento della violenza. Dal calcio, dall’hockey, dallo sport. Solo sensibilità? Anche interesse, perché i danni gravano sulle finanze (multe, partite a porte chiuse).

Che il colpevole debba rispondere della propria condotta comparendo davanti a un giudice aiuta i club ma non risolve il problema. Né li sgrava da responsabilità che devono essere abbracciate fino in fondo allo scopo non di contenere, bensì di estirpare il fenomeno alla radice: l’identificazione del tifoso violento; la sua relativa immediata messa al bando. Definitiva, non temporanea.

Insomma, a fianco delle cosiddette manovre accompagnatorie, dell’intervento di sociologi ed esperti, del rafforzamento dell’apparato della sicurezza all’interno dello stadio, della sbandierata volontà di contribuire alla soluzione del problema, è auspicabile che si prosegua sulla via della maggiore risolutezza, quando la mela marcia si palesa. La giustizia penale faccia il suo corso, il Tribunale federale ha indicato la strada. È però fondamentale che le sia dato del lavoro da sbrigare: segnalando, denunciando, isolando e allontanando chi sgarra. Sistematicamente.

Possiamo anche supporre che la deriva sia irreversibile, complice una società in repentino mutamento, ma non è una buona scusa per rinunciare alla lotta. Da qualche parte bisogna cominciare. Dissuadere è un inizio. A furia di provvedimenti duri e tempestivi, chissà che non si arrivi anche alla prevenzione. Intanto, è giusto che chi sbaglia paghi. Sia in tribunale, sia allo stadio. Venendone cacciato e andando al fresco.

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