Commento

Di rapine, valichi e barriere

(Francesca Agosta)
26 luglio 2017
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Il Mendrisiotto ha capito, ormai, da tempo di non essere più un’isola felice. In tutta onestà, c’è da chiedersi se lo sia mai stato. Se sia mai stato immune dalla piccola e grande criminalità di una realtà di frontiera. A volte, infatti, la memoria sembra fare brutti scherzi, e rimuove che già in passato – pensiamo agli anni Ottanta –, dalle parti della ramina si consumavano delle rapinacce; e a imperversare erano bande anche feroci. Eppure oggi ogniqualvolta risuona una sirena e il tam tam informa che si è messo a segno un ‘colpo’, un altro, magari ai danni di un benzinaio – i più bersagliati –, si trasalisce. E così inizia la conta. E riparte la polemica (anche politica). In questi primi (quasi) sette mesi dell’anno la contabilità ha toccato quota 9. Nel distretto si sono fatte nove rapine, per la maggior parte in stazioni di servizio. Anche se la statistica segnala pure una abitazione (a Vacallo) e un ufficio cambi (a Novazzano). Non poche, certo, in sette mesi o giù di lì.

Nel 2016, archiviata l’annata, tra Basso e Alto Mendrisiotto si erano registrati in totale 15 assalti, sei dei quali a mano armata. Un numero comunque inferiore a quello del 2015, ma soprattutto al periodo rovente del 2011 (con 27 rapine) o ancora del 2014 (con 30). Per tirare le somme, quindi, è ancora presto. Non è detto, insomma, che questo inizio d’anno sia il sintomo di una nuova recrudescenza della criminalità. È indubbio, però, che nel tempo la resistenza della popolazione si sia fiaccata. E che la percezione della sicurezza sia, a tratti, risultata inversamente proporzionale alla reale situazione e ai dati di polizia. Di conseguenza ci si blinda; si invoca una maggiore presenza delle forze dell’ordine (agenti di polizia e guardie di confine) e si raccolgono firme per far chiudere i valichi, almeno la notte. Perorata la causa a Palazzo federale, la mobilitazione, in effetti, ha centrato l’obiettivo: da aprile (e per sei mesi) in tre valichi minori – a Novazzano-Marcetto, Pedrinate e Ponte Cremenaga –, dalle 23 alle 5 del mattino si sta sperimentando lo sbarramento. Con lo strascico di lamentele (anche veementi) da parte di chi sta dall’altra parte della dogana. Funzionerà la misura? Lo si saprà a ottobre. Al momento, la chiusura non sembra aver fermato tutti i banditi (non a inizio luglio e di pomeriggio a Ponte Cremenaga).

L’impressione è che aver abbassato quelle tre barriere abbia solo permesso di alzare un pezzo di muro psicologico contro i malviventi. Lo stesso muro che si tende a costruire quando si tratta di migranti. Salvo poi ritrovarsi nella necessità di cercare di leggere la realtà per quella che è e non, a volte, con gli occhiali dell’opportunismo politico. Ancora una volta vivere sul confine può avere un prezzo sociale.

Messi a tu per tu con la criminalità, a pagare un costo salato, adesso come in passato, sono di fatto i benzinai (e con loro le commesse dei chioschi), finiti più di altri nel mirino dei rapinatori. In genere per il solo fatto di trovarsi, letteralmente, a pochi passi da un valico discosto. La loro vulnerabilità è evidente. Sebbene, dopo l’ondata del 2011 e la campagna di sensibilizzazione delle autorità, ai distributori ci si sia adeguati (prendendo delle contromisure), il rischio di essere ripuliti (anche ripetutamente, come è accaduto all’ultimo a Ligornetto) resta alto. Il punto, come constata la polizia, è che si ha a che fare con professionisti del settore; spesso e volentieri pendolari del ‘colpo’. Gente del mestiere che può agire in banda organizzata. E in questo caso è arduo individuare un antidoto. Non rimane che lavorare di ‘intelligence’, render loro la vita difficile e soprattutto acciuffarli.

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