L'analisi

Di fiducia e trasparenza

(Carlo Reguzzi)
4 novembre 2017
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Se c’è qualche affare che è andato alla malora ed è finito in Giustizia, qualche garbuglio politico che si fatica a dirimere, qualche controllo amministrativo passato sotto i ponti, qualche contabilità pubblica o privata che ha preferito il gioco delle sette pietre, immancabilmente appare l’invocazione del mantra di tutti i mantra: trasparenza, ci vuole più trasparenza. Il fatto è che da molti tempi, ormai, la si invoca (soprattutto dall’inizio della grande crisi), ma poiché torna con frequenza inflazionata si comincia a credere che è una bella mascherata. Anche perché la trasparenza richiede regole e si fugge subito per la tangente maledicendo le dande della burocrazia. Si comincia allora a rovesciare il mantra e a credere che ogni affare, politico o economico, finisce sempre per avere una buona dose di opacità per imporsi e riuscire. A questa ovvietà si è persino appioppata una etichetta scientifica definendola «asimmetria di informazione». Se ti vendo un’auto usata non ti dirò tutto (non posso essere trasparente) perché finirei per perderci o indurti a non acquistarla. Si è meritato un premio Nobel chi ne ha fatto una ideologia.

Svalutata ormai la trasparenza per ideologia e usura, su ogni bocca di governante impantanato, di politico seriamente impegnato, di manager preoccupato, di economista benevolo, è apparsa ora un’altra parola che richiede però molto più impegno, anche perché meno accertabile della trasparenza: fiducia. Ritrovare la fiducia nello Stato, nella politica, nei politici, nell’economia, nelle banche, nella Giustizia.

Nasce il timore che anche la fiducia conclamata sia un diverso abracadabra per riacciuffare una sorta di felicità perduta. Che cosa si intenderà per fiducia? Credere in sé stessi, nell’avvenire, nelle persone, nelle istituzioni? La fiducia non è una virtù astratta, può solo fondarsi su rapporti umani, in un contesto ben preciso. È quindi tutto un recupero di relazioni umane, che si sono innegabilmente molto degradate, che bisogna operare. Tanto meno la fiducia è una vernice da spalmare sulle realtà per renderle convincenti, come è metodo di certi politici.

Anche qui dovremmo accorgerci, magari controvoglia, che i mercati, a cui abbiamo affidato tutto la razionalità (e l’ultimo premio Nobel per l’economia dimostra timidamente altro), non hanno mai generato fiducia, affidabilità nelle relazioni umane, cooperazione, azione collettiva, come si voleva far credere. Hanno invece generato il contrario perché, come per la trasparenza, è nella natura della concorrenza politica ed economica, perdipiù se esasperate, infrangere le regole e cercare di illudere o ingannare l’altro per avere la meglio.

E allora? Si finisce per trovarsi tra il profeta Geremia (maledetto l’uomo che ha fiducia nell’uomo) o quell’illustre monaco tedesco che predicava invece: «A forza di fiducia si può mettere l’uomo nell’impossibilità di ingannare». Geremia era pessimista per quanto gli mostrava la società, il monaco ottimista per quanto scopriva nella coscienza umana. C’è da vedere quanto la coscienza umana abbia ancora presa sulla società. È tutto lì.

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