Commento

Corrente favorevole

16 giugno 2017
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Un’afosa giornata di tarda primavera; la carovana del Tour de Suisse ha appena lasciato la capitale; ai piedi di un Palazzo federale con i tendoni abbassati, il bagno pubblico al Marzili è affollato; gli arditi si fanno portare dalla corrente dell’Aare; sotto il ‘cupolone’, politici in assetto pre-estivo macinano un atto parlamentare dietro l’altro, discussi in aule semivuote che si riempiono soltanto al momento del voto. Didier Burkhalter annuncia le dimissioni. È una doccia fredda in questa sessione soft delle Camere federali, che si avviava placidamente alla conclusione in un clima di bonaccia politica: chiuso il dossier immigrazione, nulla di nuovo sul fronte Europa, molti col pensiero già rivolto alla battaglia sulla riforma delle pensioni, dopo la pausa estiva.

Per quanto inattesa e dettata da intime ragioni, la decisione non sorprende più di tanto. Checché ne dica, per il consigliere federale neocastellano il dossier europeo è stato fonte di logorio. Non tanto a causa dell’assenza di risultati politici, piuttosto per una progressiva perdita di influenza in quest’ambito. Non è un mistero che fosse il fedele e criticato Yves Rossier il suo favorito per la successione di Jacques de Watteville al posto chiave di capo negoziatore con l’Ue: invece il Consiglio federale gli ha preferito Pascale Baeriswyl, vicina al Ps. Intanto, il ministro degli Esteri continuava a ostentare ottimismo – mai corroborato da riscontri – su un sempre fumoso accordo quadro, alimentando l’impressione che l’esecutivo fosse in balìa degli eventi, senza una strategia. A ciò va aggiunta una non facile situazione all’interno del Dipartimento degli affari esteri, dove serpeggia un certo malumore per una riorganizzazione che ha creato insicurezza tra il personale diplomatico.

C’è poi il fattore istituzionale. Diversi consiglieri federali (Doris Leuthard, Johann Schneider-Ammann, Ueli Maurer, lo stesso Didier Burkhalter) erano dati in partenza. Le loro dimissioni potrebbero giungere ancora nel corso della legislatura (Leuthard), oppure (Schneider-Ammann e Maurer) in occasione del prossimo rinnovo integrale del Consiglio federale (dicembre 2019). La decisione di Burkhalter può essere letta anche come un segnale: meglio ritiri scaglionati da qui al termine del quadriennio, che dover rinnovare più della metà dell’esecutivo fra due anni e mezzo. O forse, semplicemente, il ministro uscente non aveva scelta, se non quella di rimandare a una data ulteriore l’abbandono: il collega di partito Schneider-Ammann aveva già annunciato il suo ritiro per la fine del 2019, il Plr si sarebbe così ritrovato nella scomoda situazione di dover sostituire in un sol colpo due suoi ministri.

Intanto si è aperto il balletto dei nomi. Il Plr, che non ha nulla da temere, vuole un candidato latino. Sembra essere arrivato il turno del Ticino. “Fast alles spricht für Ignazio Cassis” (quasi tutto parla per Ignazio Cassis), titolava ieri il ‘Tages-Anzeiger’. Del 56enne consigliere nazionale a Palazzo si apprezzano la competenza, le capacità di mediazione e linguistiche. A favore del capogruppo Plr gioca anche il fatto che un terzo romando in governo costituirebbe un’eccezione alla regola ‘5 svizzero-tedeschi e 2 latini’, infranta con l’elezione di Guy Parmelin. Cassis, però, non è ben visto a sinistra per le sue posizioni ultraliberali su assicurazione malattia e pensioni. Al suo secondo tentativo dopo il flop del 2010, il luganese inoltre non può vantare – diversamente da altri papabili, come il ginevrino Pierre Maudet – alcuna esperienza di esecutivo. Se poi il Plr opterà per un ticket con un romando, magari donna, anche colui che oggi è dato per grande favorito dovrà dimostrare – sempre che decida di candidarsi – di sapersela giocare fino in fondo.

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