La gioventù dibatte

Codice etico per le Ong?

Favorevoli e contrari
26 settembre 2016
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“Le organizzazioni di cooperazione internazionale dovrebbero adottare un codice di condotta che limiti l’uso di immagini di bambini denutriti e ammalati nelle loro campagne di raccolta fondi?”. Questo il tema – assegnato per la finale cantonale di dibattito 2016 – che ha permesso ai giovani delle scuole medie di affrontare questioni delicate a più livelli: umanitario, economico, etico. Il fine, indiscutibilmente buono, giustifica i mezzi utilizzati, sovente criticati per la crudezza delle immagini? Un tema di grande attualità, di fronte al quale le stesse Ong non hanno una posizione unanime.

FAVOREVOLI - Jamiel Guerchadi e Valentina Gandola, 4ª C, Sme Pregassona
Molto spesso le immagini che vengono mostrate nelle campagne di raccolta fondi e negli spot sono crude, questo potrebbe andare ad urtare la sensibilità degli adulti particolarmente emotivi e soprattutto dei bambini. Per questo motivo si potrebbero utilizzare immagini meno forti, ma comunque efficaci.
Riteniamo importante mostrare il vero volto della povertà per raccogliere fondi, ma è altrettanto importante farlo con moderazione e rispetto dei bambini, che vedono violata la loro privacy. Le organizzazioni, infatti, devono considerare la sensibilità pubblica e quindi evitare di mostrare immagini o testi lesivi della dignità della persona.
In taluni casi si tratta di una vera e propria “pornografia del dolore” con la quale si incita in modo sbagliato a tirare fuori i soldi. Persino le persone che hanno problemi economici si sentono moralmente obbligate a mettere mano al portamonete e questo non è giusto. Il fine buono non giustifica i mezzi adottati.
Ci vuole assolutamente un codice etico che ne regolamenti l’uso perché purtroppo, molto spesso, le immagini che vengono mostrate sono dei fotomontaggi o simili, quindi mostrano la situazione in modo più drammatico di come è in realtà. Si tratta di un metodo troppo facile per “catturare” i soldi delle persone che si inteneriscono e impietosiscono vedendo le immagini dei corpi fragili dei piccoli malati e denutriti. Si tratta di un inganno psicologico. Non si lavora sulla scelta razionale, sul sostegno finanziario consapevole, ma piuttosto sul lato emotivo.

Le norme in vigore attualmente, a nostro parere, non svolgono appieno il loro ruolo di tutela dei soggetti coinvolti. È dunque necessaria un’autoregolamentazione che provveda a ciò e che si adatti alle necessità delle singole organizzazioni.
Possiamo prendere come esempio il modello irlandese, che comporta delle semplici ed importanti indicazioni, che mirano a regolare il linguaggio utilizzato nelle campagne, contenere l’impatto di quanto trasmesso, modificare gli stereotipi presenti attualmente, donare un’immagine il più realistica possibile e a coinvolgere il maggior numero di mediatori della comunicazione, per avere un ulteriore controllo.
Prendiamo quindi in considerazione le seguenti regole, che secondo dati statistici hanno condotto a un esito positivo, portando inoltre ad un leggero incremento delle donazioni:
1. Scegliere immagini che trasmettano valori di rispetto, solidarietà ed uguaglianza
2. Rappresentare onestamente la situazione, per una maggiore comprensione pubblica
3. Evitare stereotipi e discriminazione
4. Pac: Partecipazione, Comprensione, Autorizzazione dei soggetti coinvolti
5. Concedere ai soggetti la possibilità di comunicare la propria versione dei fatti
6. Lasciare al soggetto la scelta: esporre le proprie informazioni personali o meno? Voglio essere nominato all’interno dello spot?
7. Agire sempre secondo standard elevati dei diritti umani

Tutto questo perché dobbiamo donare con consapevolezza e nel rispetto dei principi etici, senza essere influenzati dagli aspetti emotivi. Possiamo infatti affermare che le campagne concepite da queste organizzazioni non dovrebbero essere orientate verso un’ottica di persuasione dell’individuo a contribuire con una donazione, senza conoscere la realtà della situazione spesso distorta da campagne che mirano a esortare ad una donazione incondizionata dalla propria opinione, bensì d’informazione del potenziale donatore che, grazie a queste, sarà in grado di scegliere se devolvere o meno un contributo.

CONTRARI - Filippo Merlani e Alessia Berta, 4ª D, Sme Pregassona
Le immagini, sovente forti, utilizzate nelle campagne pubblicitarie di raccolta fondi hanno una ben precisa ragion d’essere. Servono a far riflettere, a suscitare indignazione e a smuovere l’indifferenza del mondo occidentale ricco, dove molti non hanno neppure un’idea di cosa succede fuori dalle nostre nazioni benestanti.
Servono pure a far capire alla gente quanto sia scandalosa, crudele e inaccettabile la situazione nel Terzo Mondo.
Servono a scuotere le coscienze e a spingere le persone a donare con maggior frequenza e convinzione.
Secondo noi, un solo bambino che muore di fame giustifica qualunque immagine, sia pure cruda e scandalosa. Il vero scandalo non è un’immagine cruda, ma la tragedia della mortalità infantile in Africa. Del resto, secondo alcuni sondaggi, la maggior parte della gente è favorevole all’uso di immagini, anche forti e crude, che ritraggono bambini denutriti e ammalati, perché si ritiene che il fine positivo giustifichi i mezzi utilizzati.

Va precisato che queste immagini non sono presentate per sconvolgere gli abitanti dell’Occidente, ma per mostrare la vera e dura realtà con cui quella povera gente deve convivere ogni giorno. Se si dovesse introdurre un codice che ne regolamenti l’uso le persone vedrebbero una realtà distorta. Vista la crescente indifferenza e il diffuso egoismo nel mondo occidentale le immagini sempre più crude hanno più possibilità di suscitare reazioni indignate e attirare dei donatori.
I sostenitori dell’introduzione di un codice etico affermano che le immagini non rispettano la privacy dei soggetti, in realtà non è vero, perché queste immagini vengono trasmesse con il consenso della comunità stessa, consapevole della finalità positiva.

A nostro parere la situazione attuale è inaccettabile: è assolutamente necessaria una maggiore tutela dei soggetti coinvolti e un incremento nel controllo di quanto trasmesso. Pensiamo però che introducendo dei codici di autoregolamentazione si incontrerebbero delle difficoltà di comunicazione tra Ong, in quanto avrebbero delle norme differenti, fenomeno che di conseguenza potrebbe costituire un ostacolo alle operazioni di collaborazione di queste.
Va ricordato come al mondo esistano oltre 10 milioni di Ong; inutile soffermarci su quanto, per il Paese aiutato, sarebbe difficile adeguarsi alle diverse normative delle varie organizzazioni.
Viste le condizioni appena analizzate, proponiamo l’istituzione di un organo nazionale esterno alle suddette organizzazioni, adibito al monitoraggio dell’operato delle Ong per mezzo di parametri integranti, in particolare, la tutela dei diritti e la diffusione di una campagna realistica, obiettivi che, con l’applicazione di tale modello, ci prefiggiamo. Esiste già un modello simile, quello italiano, che andrebbe reso obbligatorio per ogni Stato e per ogni Ong, la cui idoneità dovrà essere determinata secondo i principi etici e allo scopo di tutelare i soggetti.
Ognuno di questi organi si dovrà adattare alla legislazione, alla cultura e alle circostanze locali, dunque sempre nel rispetto del contesto specifico portando, a dispetto della situazione attuale, ad una comunicazione facilitata e maggiorata.
In questo modo le Ong non dovrebbero investire le proprie risorse (in termini di tempo e denaro) per il proprio autocontrollo, che si potrebbero invece impiegare in attività a scopo benefico.
Questo organo esterno permetterebbe la massima prestazione delle Ong, tutelando allo stesso tempo i coinvolti, risultato che potremmo definire come la più alta aspirazione raggiungibile in questo ambito.

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