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Tagli al budget agricolo da parte della Confederazione, la rabbia dei contadini ticinesi

(Francesca Agosta)
8 novembre 2017
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“Quando è troppo, è troppo. Il Consiglio federale (CF) vuole sacrificare l’agricoltura per avere dei vantaggi in altri settori, non seguendo nemmeno la volontà popolare. Ciò è grave. Esso si è chinato sul futuro del settore e ha presentato settimana scorsa una visione d’insieme dell’agricoltura e del suo sviluppo futuro che è completamente fuori luogo. L’apertura delle frontiere ai prodotti agricoli rappresenta il punto principale del rapporto. Mentre il resto del mondo ha riconosciuto che il libero mercato non è la panacea per il successo economico di un Paese, il nostro Governo ignora questi sviluppi internazionali. Ha effettuato delle analisi che non danno prospettiva all’agricoltura svizzera e che occultano dei fattori decisivi, per esempio il livello esorbitante dei costi in Svizzera comparato con l’estero. Senza una protezione doganale, che anche gli altri Paesi hanno in forme diverse, i prezzi che vengono pagati alla produzione non riusciranno neanche lontanamente a coprire i costi, nemmeno aumentando i pagamenti diretti. Malgrado i buoni propositi, la Confederazione non ha i mezzi per compensare le inevitabili perdite finanziarie che questa decisione creerebbe alle famiglie contadine. Senza parlare della dipendenza totale dallo Stato, ancora più di adesso, nella quale si ritroverebbero gli agricoltori svizzeri”. Così la pèensa Sem Genini, segretario dell'Unione contadini ticinesi che, in un comunicato, osserva pure che “Il Consiglio federale non considera neanche la decisione presa dal popolo svizzero il 24.9.2017, dove più del 78% della popolazione (88% in Ticino!) si è pronunciata a favore di un rafforzamento della sicurezza alimentare. Già oggi la Svizzera importa il 40% dei suoi alimenti. Ci sono pochi Paesi al mondo che sono così dipendenti dall’estero per l’approvvigionamento alimentare. L’attuale protezione doganale, che per alcuni settori è già stata diminuita notevolmente (vedi latte) non nuoce a nessuno. Anche i prezzi al consumo non cambierebbero, contrariamente a quanto ventilato, dato che la parte di materie prime agricole per ogni franco speso dai consumatori si rivela modesta. A questo si aggiunge che gli svizzeri non spendono più del 7% del loro budget per le derrate alimentari, un minimo assoluto a livello mondiale”. Sempre a detta di Genini “l’agricoltura svizzera sta vivendo dei grandi cambiamenti strutturali, più della metà delle aziende agricole sono scomparse negli ultimi 30 anni. È evidente anche il problema del ricambio generazionale, in effetti più di un capo azienda su due supera i 50 anni e tra questi, il 50% dichiara di non aver ancora trovato un successore per ritirare l’azienda. Senza calcolare i redditi bassissimi, se comparati a quelli di altri settori. Perché creare quindi ulteriore pressione sulle famiglie contadine, che fanno il possibile per stare in piedi dignitosamente? Senza dimenticare le statistiche recenti che parlano di numerosi agricoltori vittime di “burnout” e di un numero particolarmente alto di suicidi nel settore. Per questi motivi, alla nostra agricoltura serve di tutto, fuorché un’apertura dei mercati. Il CF deve svolgere seriamente la sua missione per assicurare la sicurezza alimentare ed effettuare un’inversione di marcia. Bisogna rafforzare la produzione indigena di qualità, sostenibile e rispettosa degli animali, a favore della biodiversità, promuovere le prestazioni svolte dalla nostra agricoltura a favore di tutti, prendendo misure adatte a favorire queste essenziali attività con la politica agricola del futuro. La “visione d’insieme” proposta dal CF deve tornare al mittente; ci vogliono nuove idee, non vecchie ideologie ormai sorpassate da tempo”. E non è finita qui: “nel budget della Confederazione per il 2018, il CF ha proposto alcune settimane fa ulteriori tagli al settore primario. In particolare per le 6 voci del budget agricolo (pagamenti diretti, consulenza, contributi per la ricerca, crediti d'investimento, migliorie strutturali e assicurazione della qualità nella produzione di latte) siamo fermamente contrari ad un ridimensionamento. Per quanto riguarda i pagamenti diretti (proposta del Consiglio federale di ridurre di oltre 84 milioni di franchi), le nostre richieste di mantenere i contributi come l’anno precedente non sono campate in aria, ma si basano sulle decisioni già prese in precedenza dal Parlamento per il programma di stabilizzazione (2017-19), così come per i limiti di spesa agricola 2018-21, dove era stato votato che non si volevano dei tagli all’agricoltura. Il CF non dovrebbe ignorare le decisioni del Legislativo, dovrebbe rispettarle e metterle in pratica. Neanche per questo tema si può ignorare il plebiscito popolare di includere l’articolo 104a sulla sicurezza alimentare nella Costituzione; un segnale chiaro dell’attaccamento e del sostegno del popolo svizzero a un’agricoltura locale forte e di qualità. Non è ammissibile che nei futuri dibattiti legati all’agricoltura svizzera non si prenda in considerazione questa volontà popolare. Oltretutto, non è corretto ridurre i mezzi finanziari devoluti alle prestazioni fissate dal Parlamento nell’ambito della politica agricola 2014-2017, e che hanno generato ingenti costi e lavori supplementari. Il CF propone di ridurre i contributi di transizione, che fanno parte dei pagamenti diretti generali. Mentre nel 2016 sono stati versati contributi di transizione per 162 milioni di franchi, il budget del 2018 prevede solo 13,7 milioni di franchi. Le famiglie contadine, a cui sono già stati tolti diversi pagamenti diretti con la nuova politica agricola, saranno ulteriormente colpite. Queste riduzioni avranno un effetto diretto sul reddito agricolo già basso e insoddisfacente delle famiglie contadine svizzere. Secondo Agroscope, il reddito lavorativo per unità di lavoro famigliare nel 2016 ammontava a 47’200 franchi, ossia 3’930 franchi al mese. In questo contesto il calcolo è presto fatto, il reddito delle aziende agricole svizzere è quasi del 30% più basso del reddito in settori comparabili. Sebbene l’agricoltura perda un migliaio di fattorie ogni anno, ciò non significa che le prestazioni che fornisce diminuiscano. Le esigenze imposte alle aziende continuano a crescere. L’agricoltura è l’unico settore in cui le uscite federali non sono aumentate, mentre le spese per tutte le altre voci di bilancio aumentano più o meno significativamente”. Nell’ambito del programma di stabilizzazione, infine, “l’agricoltura aveva già dovuto accettare tagli nei crediti d’investimento e nelle misure di miglioria strutturale. Così facendo, ha contribuito tangibilmente alla solidità delle finanze federali. Nemmeno il tema dell’inflazione negativa convince, il costo della vita in generale non è diminuito. Ancora una volta dobbiamo confidare nell’intervento del Parlamento per riuscire a correggere e bloccare le proposte e le intenzioni del Consiglio federale”.

 

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