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Maroni la spara: "La Svizzera schiera i carri armati ai confini". Da Como ridimensionano gli allarmismi

(Gabriele Putzu)
20 aprile 2016
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di Marco Marelli/Red

«Al confine con la Lombardia, la Svizzera per fronteggiare l'invasione degli immigrati, schiera i carri armati. L'ho sentito oggi». La spara così il governatore lombardo Roberto Maroni, conversando con i giornalisti a margine di un incontro a difesa della produzione del latte lombardo. C'è sempre qualcosa da difendere. Chi il suolo della madre patria, chi in latte.

Ancora Maroni: «La Svizzera è pronta a fare come l'Austria, cioè a schierare l'esercito ai confini con l'Italia. Siamo tornati a due secoli fa. Complimenti al governo Renzi». Una visione, quella di Maroni, che rappresenta, come minimo, un'esagerazione di quanto deciso in mattinata dal Consiglio federale. Berna non ravvede infatti la necessità di impiegare soldati ai confini e la loro mobilitazione avverrebbe solo in caso di grave minaccia terroristica unita a un flusso di 10 mila richieste d'asilo entro uno o tre mesi o con un flusso migratorio pari a 30 mila arrivi in pochi giorni. In ogni caso, come prevede la legge, i soldati sarebbero impiegati "in appoggio" alle autorità civili, cui competerebbe comunque il controllo delle operazioni. Per ora, concretamente, si è spesso ipotizzato di affidare ai militi compiti di distribuzione di pasti o preparazione di letti.

Ciò non toglie che il tema dei profughi a Como, tiene banco. E non potrebbe essere diversamente per una città di frontiera, spalancata sul Ticino, sull'Europa. C'è comprensibilmente attenzione, ma si cerca anche di ridimensionare gli allarmismi.  «È da escludere una invasione di profughi da Sud, per cui non sono giustificati gli allarmismi che arrivano dal Ticino».  Interpellato dal quotidiano lariano 'Corriere di Como' , il questore lariano Michelangelo Barbato, ha considerato provocatorie le parole di chi ipotizza la chiusura delle frontiere per «fare pressione sui Paesi che non fanno il loro dovere».

Nessuna polemica, ma una risposta a quella che il numero uno della Questura lariana considera una «provocazione»: «Gli svizzeri non hanno mai avuto alcun problema a Ponte Chiasso e sulla linea di confine comasco. Non capisco, quindi, il motivo di simili allarmi. Considerato che il problemi dei profughi è costantemente monitorato dal Ministero, non ci sono notizie o avvisaglie che facciano pensare a un'emergenza imminente». Nelle parole del questore di Como si coglie una valutazione allo scenario ipotizzata dalla Conferenza dei direttori dei dipartimenti cantonali di giustizia e polizia che si è tenuta nei giorni scorsi a Berna. Conferenza che ha immaginato di dover affrontare fino a "30mila attraversamenti irregolari delle nostre frontiere nell'arco di pochi giorni".

Ancora Barbato: «Conoscendo l'efficienza svizzera come modello da individuare giudico la loro prudenza in modo positivo, ma ripeto non ci sono segnali che vanno nella direzione temuta dalla Confederazione».

Nella discussione interviene Ernesto Molteni, segretario provinciale del Sap (Sindacato autonomo di polizia) di Como: «Dubito che a seguito della chiusura del Brennero possa essere presa d'assalto la nostra frontiera. Abbiamo notizia di nuovi arrivi, in quanto il territorio è sotto controllo. In caso di grossi spostamenti, verrebbero tempestivamente segnalati. Considero improbabile che decine di migliaia di profughi si presentino decine di migliaia di persone». Molteni pone l'accento su un significativo aspetto: l'organico della polizia di frontiera: «L'organico al settore di Ponte Chiasso a seguito della libera circolazione delle persone è stato ridotto di due terzi». Nonostante ciò i controlli non mancano. E in questa ottica si colloca il 'grande fratello', da Bizzarone a Drezzo, un'unica videosorveglianza, con telecamere di ultima generazioni, collegate con polizia locale, carabinieri e Guardia di finanza.

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