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La violenza è il pane quotidiano per troppe donne

Oggi oltre trenta panetterie partecipano all'azione di sensibilizzazione
25 novembre 2015
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La violenza domestica non colpisce solo le donne, ma quasi. Quando la polizia è chiamata a intervenire per una lite familiare, può chiedere per il tramite di un Ufficiale l’allontamento immediato dell'autore, per la sicurezza di chi resta in casa. In tutti i casi di allontanamento registrati dalla Polizia cantonale dal 2008 al 2014, poco meno di 500 riguardavano uomini, mentre meno di 30 erano rivolti a donne. Questo fenomeno si insinua nelle pieghe della società, nelle relazioni fra uomini e donne, nella quotidianità della vita famigliare e di coppia, per usare le parole di Amnesty international e Inter-Agire/Comundo, promotori della campagna di sensibilizzazione di oggi per la giornata internazionale contro la violenza sulle le donne, attraverso la quale si tenta di togliere il velo a questo fenomeno strisciante, che affonda le sue radici nella paura e nell’isolamento vissuto dalle vittime.

Entra in casa come il pane

Per questo motivo oggi alcune panetterie della Svizzera italiana (qui si trova la lista dei partecipanti) distribuiranno il pane in speciali sacchetti di sensibilizzazione con i numeri di emergenza e di servizi di aiuto alle vittime (maggiori informazioni sul sito del Cantone). Una scelta dal forte significato simbolico: la violenza sulle donne è diffusa anche sul nostro territorio, come ci conferma il sergente maggiore Giorgio Carrara, ma spesso resta sommersa perché si consuma e resta là dove si porta il pane quotidiano, vale a dire in casa. Nella quotidianità e nell’intimità della casa questo fenomeno rischia poi di restare, impunito, ad auto alimentarsi.

Il problema è strutturale nella nostra società

Al di là della gestione del problema, vale la pena interrogarsi anche sulle sue cause, ci spiega Vanessa Ghielmetti per il gruppo Daisi (Donne Amnesty international della Svizzera italiana): «Se andiamo oltre questa macabra contabilità che si ripresenta ogni 25 novembre, ci accorgiamo che c’è un problema strutturale nella nostra società. C’è qualcosa che non funziona a livello culturale e sociale anche nel nostro cantone, dove le donne sono discriminate a più livelli. A una parte della popolazione non viene riconosciuta la dovuta parità in diritti e dignità, e la violenza si nutre di tutti questi elementi». Se non vogliamo ridurci a una denuncia episodica del fenomeno, è dunque importante investire in politiche di eguaglianza e di sostegno.

Più di due casi al giorno

I numeri sono impressionanti: negli ultimi quattro anni in media vi sono stati circa 800 interventi all’anno per disagi familiari, ci conferma il coordinatore cantonale per i reati di violenza domestica, Giorgio Carrara: «Sono più di due al giorno». La parte non segnalata è inoltre enorme, sottolinea: «Sulla base di alcune statistiche nazionali e con la mia esperienza, credo che la parte sommersa sia ancora di 2/3 in Ticino».

Carrara gestisce tre diverse banche dati sul fenomeno: i casi di violenza domestica (reati perseguibili d'ufficio), i  casi di disagi familiari (in cui gli autori sono i vari componenti del gruppo familiare) e i cosidetti “casi di poco conto”. A questi si aggiungono le segnalazioni che tutte le unità di Pronto soccorso inviano al Ministero pubblico per i casi di violenza che si presentano da loro, e che giungono sulla sua scrivania. Sulla base di queste informazioni il sergente maggiore contatta  per verificare quanto successo, dapprima per telefono. «L’esperienza aiuta tanto a capire quando è necessario un ulteriore colloquio, che può nei posti di polizia o negli uffici del Servizio per l'aiuto alle vittime di reati, con l’aiuto di un assistente sociale –. Ci spiega Carrara –. Si tratta di un lavoro che va fatto in rete e con più figure professionali: l’agente, l’assistente sociale, i responsabili delle case protette, se necessario».

Bisogna adeguare le pene

Negli ultimi anni si è inoltre lavorato parecchio per sensibilizzare gli agenti stessi, i primi a giugere sul posto in caso di segnalazione: «Il primo contatto è fondamentale: quando si riesce a instaurare un dialogo, si può riuscire a ridurre il rischio di recidiva», prosegue il coordinatore, ammettendo però quanto le forze siano limitate: «È una questione di risorse, avere un’unità in più nel coordinamento aiuterebbe sicuramente a fare meglio. Si fa già tanto: una pattuglia che interviene per un caso di violenza domestica investe parecchie ore di lavoro».

Un grosso ostacolo è rappresentato inoltre dalle pene, che secondo Carrara non sono state adeguate all’evoluzione del fenomeno: «Nel 2004 si è introdotta la possibilità di perseguire questi reati d’ufficio, un passo in favore delle vittime – precisa–. In seguito però, con l'avvento del Codice di procedura penale, la vittima può  decidere di sospendere il procedimento e questo le pone nuovamente in difficoltà: troppo spesso per il quieto vivere o per paura, si acconsente alla sospensione, lasciando impunito l'autore».

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