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Bimbo nel pozzo, disperata corsa contro il tempo

In Marocco il piccolo Rayan da tre notti nel pozzo ‘parla e risponde’ ai soccorritori, ma il sottosuolo cede in alcuni punti

Gli scavi per salvare Rayan (Keystone)
4 febbraio 2022
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Hanno continuato a fornirgli ossigeno, acqua e cibo. Ogni piccolo movimento registrato dalle telecamere ha fatto sussultare quanti - si stima milioni - da mercoledì, giorno in cui si è diffusa la notizia dell’incidente, seguono le immagini trasmesse in dirette non stop, via tv e via internet. Rayan è vivo, ha mangiato una banana, muove gambe e braccia e risponde alle domande, chiamando la mamma. Ma l’atteso sospiro di sollievo tarda ad arrivare mentre le immagini dei soccorsi riportano alla memoria la vicenda di Alfredino Rampi e di quelle interminabili ore a Vermicino.

Gli smottamenti

Le squadre che ormai da tre giorni lavorano ininterrottamente sono a un soffio dal bambino, dopo aver scavato un tunnel alternativo per raggiungerlo. Ma ogni mossa e ogni passo avanti è pericoloso: si rischiano crolli e cadute di materiali che possano compromettere la situazione e le operazioni procedono con estrema lentezza, costrette a subire battute d’arresto a ogni rischio di smottamenti. Era martedì quando il piccolo, non si sa come, mentre giocava davanti casa, a Tamrout un villaggio a nord del Marocco, è finito nel pozzo. Un pozzo profondo 32 metri, largo da 30 a 20 centimetri, come avrebbero poi rivelato le misurazioni dei tecnici. Un pozzo senza più acqua, che aspettava di essere messo in sicurezza e, come invece molti altri pozzi esausti in Marocco, era rimasto lì protetto soltanto da un telo di plastica e qualche pezzo di legno.


La folla cresce, nella speranza di riabbracciarlo (Keystone)

Sono servite più di 100 ore di lavoro con sei escavatori a sbancare la montagna, prima di arrivare a un soffio da Ryan, senza poterlo ancora salvare. La montagna frana, il rischio è enorme. C’è in ballo un dispiego di forze senza limiti di budget, decretato dal governo marocchino in seduta speciale.

Tutti per lui

Per ora si contano gli eroi di questa vicenda, i volontari che, come per il caso di Alfredino in quelle giornate di giugno del 1981, anche qui in Marocco si sono calati a mani nude nel pozzo per cercare di portare in salvo il bambino, gli agenti della Protezione civile e delle forze dell’ordine, i tecnici, gli ingegneri, topografi e speleologi. Tutti impegnati in una gara di tenacia contro il tempo. Hanno scavato un cratere di 30 metri, parallelo al pozzo, poi, con i picconi, un corridoio orizzontale. Non è semplice, sulla catena del Rif, nella provincia di Chefchaouen, dove il terreno è inframmezzato da rocce. Alcuni smottamenti, l’ultimo alle 19 circa di venerdì, man mano che i lavori procedevano, hanno fatto temere il peggio. Troppi spettatori, su quella montagna, le vibrazioni favoriscono i crolli. Nessuno si muove, nessuno vuole andarsene, prigioniero della propria ansia, nella speranza di vedere il piccolo Rayan uscire da quel maledetto pozzo.

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