Estero

Cronaca di una bruttissima giornata americana

Alla fine ci è scappato anche il morto. Una piccola ricapitolazione di quello che sappiamo finora, e un’analisi del risultato in Georgia

(Keystone)
7 gennaio 2021
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“Una scena di violenza, caos e distruzione che ha scosso il nucleo stesso della democrazia americana”. Perfino il New York Times, poco avvezzo a drammatizzare, è rimasto a bocca aperta davanti a quanto visto ieri a Washington. Dopo un discorso incendiario di Donald Trump che davanti alla Casa Bianca ha ribadito la favola della vittoria rubata, l’ira della folla – prevalentemente bianca, senza mascherine – si è rivolta a Capitol Hill, occupando la sede del Congresso che in quel momento stava confermando l’elezione di Joe Biden. Al momento di andare in stampa i disordini stavano proseguendo, con fonti quali Nbc e Washington Post che riportavano la morte di una donna colpita da una pallottola al collo e alcuni agenti feriti.

E no, una cosa così negli Stati Uniti non era mai successa (a mente viene solo il 1814, ma quella volta era il nemico inglese che diede fuoco al Campidoglio). Mai la folla urlante aveva sfondato la protezione di uno degli edifici più blindati d’America, mai si era seduta su banchi e scrivanie dei legislatori, costringendo la polizia e l’Fbi a intervenire con lacrimogeni e pistole spianate. L’edificio è stato posto in lockdown, il vicepresidente Mike Pence, che Trump aveva esortato a rovesciare il risultato elettorale, è stato scortato fuori dalla sicurezza. “Ecco cosa avete ottenuto”, ha urlato nell’aula il repubblicano moderato Mitt Romney, alludendo alle tattiche della dozzina di compagni di partito – capofila l’ultraconservatore Ted Cruz – che hanno provato a tutti i costi a contestare i voti elettorale di numerosi Stati.

Ma è indubbiamente Trump quello che ha appiccato il fuoco, convocando una marcia per “salvare l’America” e urlando ai suoi: “Ci hanno rubato le elezioni, non concederemo mai la vittoria a Joe Biden, i repubblicani che la certificheranno sono deboli e patetici”. E ancora: “Avremo un presidente illegittimo, non possiamo permetterlo”. Netto il contrasto con la sorprendente dignità del vicepresidente Mike Pence, che per una volta ha rifiutato di farsi tirare per la giacchetta e al presidente che gli chiedeva aiuto ha risposto con un messaggio pubblico molto chiaro: “La presidenza appartiene agli americani. Non ritengo che i padri fondatori volessero investire il vicepresidente con l'autorità unilaterale di decidere quali voti devono essere contati e quali no”.

Da Biden a Romney, la parola ricorrente per stigmatizzare l’accaduto è una sola: “Insurrezione”. E mentre la sindaca di Washington Muriel Bowser dichiarava il coprifuoco, oltre mille truppe della Guardia nazionale si avviavano per le vie della città. Trump, che Biden avrebbe voluto vedere in un messaggio televisivo alla nazione, si è limitato a un tweet a mezza bocca, ripetendo che “l’elezione è stata rubata” ma chiedendo a tutti di “andare a casa”. “Vi amiamo”, ha concluso. I successivi tweet sono stati più prudenti, ma ormai inutili.

Centinaia le persone – alcune armate e in mimetica – che si sono lanciate contro le barriere all’entrata del Congresso, fino a entrarvi. Corridoi, uffici, aule sono stati presi d’assalto dalla folla, verosimilmente infiltrata da gruppi di estrema destra come i Proud Boys. Quando qui ci si avvicinava alla mezzanotte, la polizia sembrava essere riuscita a riprendere progressivamente il controllo della situazione. Ma restavano le strade.

Il tutto alla fine di una giornata nera per Trump, che ha visto sfumare anche i due seggi al Senato finiti al ballottaggio in Georgia. Nulla da fare per gli uscenti repubblicani: ad aggiudicarsi il voto sono stati, sia pure per un‘incollatura, i due candidati democratici (vedi sotto). Ora la situazione al Senato è 50-50: ma Kamala Harris, la futura vicepresidente, potrà fare la differenza. Questo non basterà probabilmente a scrivere nella legge grandi riforme, ma permette comunque a Biden di bypassare buona parte dell’ostruzionismo repubblicano, in particolare sulle nomine di personaggi chiave dell’esecutivo.

L’ANALISI

Com’è cambiato il vecchio Sud

Alla fine degli anni Sessanta, i Democratici in Georgia avevano il grugno di Lester Maddox: il governatore razzista che si rifiutava di servire i clienti afroamericani nel suo ristorante di Atlanta, allontanandoli con un piccone. Ieri, quello stesso Stato ha mandato al Senato federale il primo afroamericano democratico proveniente dalla vecchia Confederazione (l’altro è un repubblicano della South Carolina). Figlio di una donna che raccoglieva cotone e tabacco nelle piantagioni, undici fratelli nati nella Savannah di ‘Via col vento’, il reverendo è anche pastore della stessa parrocchia dalla quale si diffuse la voce di Martin Luther King, la Ebenezer Baptist Church. Eletto anche l’altro liberal Jon Ossoff, documentarista 33enne, ex candidato sconfitto per un soffio alla Camera qualche anno fa. Entrambi perseguono un’agenda attenta alle minoranze, alle protezioni sociali e sanitarie per i più poveri e al controllo delle armi.

Nel 1964, fu il Civil Rights Act a spingere il Sud dalle mani dei Democratici a quelle dei Repubblicani (odiati, da quelle parti, da quando Abramo Lincoln aveva strappato le catene della schiavitù). Ora proprio i diritti civili riprendono il sopravvento. Cos’è cambiato? Anzitutto, naturalmente, la demografia della Georgia, dove gli afroamericani costituiscono oltre il 30% della popolazione. E dove il 60% dei quasi dieci milioni di abitanti si concentra nella capitale Atlanta, il cui progressismo ha saputo imporsi sul conservatorismo delle aree rurali.

A funzionare è stata anche una campagna improntata all’emozione più che al confronto con gli avversari, che d’altronde non volevano saperne. Il partito democratico è riuscito a risvegliare le minoranze dal torpore di una sistematica discriminazione. 

Ne escono sconfitti i due repubblicani. Una è l’imprenditrice Kelly Loeffler, considerata la persona più ricca di tutto il Congresso, nota per l’ostentazione del suo conservatorismo. E poi David Perdue, top manager in odor d’insider trading: il ‘New York Times’ sostiene che sfruttasse le informazioni ottenute dalle commissioni per arricchirsi. I due pagano la stretta associazione con il presidente uscente Donald Trump: non dev’essere piaciuta a molti elettori la telefonata nella quale questi chiedeva al Segretario di Stato della Georgia, il repubblicano Brad Raffensperger, di “trovare” i voti mancanti per rovesciare l’elezione. Per non parlare della benzina gettata per mesi sul fuoco del movimento antirazzista ‘Black Lives Matter’. Controproducente, infine, l’insistenza sul fatto che le elezioni fossero truccate: chi ci ha creduto è rimasto a casa, sicché stavolta ad astenersi sono stati paradossalmente certi trumpiani duri e puri. Dopotutto, domani è un altro giorno.

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