PUBBLIREDAZIONALE

Una buona istruzione garantisce protezione

Camera di commercio e dell'economia e dell'industria del Canton Ticino

21 marzo 2023
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Trasformazione digitale, evoluzione tecnologica, diffusione dell’intelligenza artificiale, professioni che si esauriscono e nuove che si creano, diverse esigenze di equilibrio fra vita professionale e privata, aumento delle occupazioni a tempo parziale, penuria di manodopera qualificata ecc. Sono solo alcuni dei temi che toccano direttamente o indirettamente il mondo del lavoro e quindi coinvolgono inevitabilmente anche quello articolato della formazione.

I molti risvolti di cambiamenti epocali

Come per ogni cambiamento che si palesa con forza, i timori accompagnano l’ottimismo, considerato che molti parametri inevitabilmente mutano, facendo vacillare quelle che sono sempre state certezze. Anche fenomeni considerati come positivi, quale ad esempio la possibilità di lavorare a tempo parziale, nascondono comunque qualche insidia, soprattutto per il sistema, prima che per l’individuo.
Si è rilevato, anche se la riflessione era già emersa in più occasioni, che la riduzione del tempo di lavoro a tempo parziale, magnificato per il singolo, impatta in modo importante sulla penuria di manodopera, sul gettito fiscale, sugli introiti delle assicurazioni sociali ecc. Non si tratta certo di un giudizio di valore, visto che la scelta del tempo parziale (da parte di chi può permetterselo…) è assolutamente legittima e benvenuta, frutto di una considerazione solo privata, ma, come ogni risoluzione accoda conseguenze, delle quali non si può non tenere conto. Le scelte, anche politiche, ne devono tenere conto.
Non si può ignorare, per esempio, che oltre la metà delle aziende svizzere (non solo quelle ticinesi) è già costretta a orientarsi sui mercati esteri per trovare personale qualificato, che comunque scarseggia. Per rendersi attrattive e competitive nel match della domanda e dell’offerta, le imprese devono offrire varianti di lavoro flessibili, fra le quali proprio quella del tempo parziale. Visto quanto sopra, appare un po’ paradossale. Ma tant’è, questi sono i cambiamenti epocali ed esserne consapevoli ci indica quali siano le nuove strade da esplorare e intraprendere.

Nuove opportunità e nuove figure

Come detto in entrata, ogni rivoluzione porta con sé anche paure. In passato, e ora ci fa sorridere, le lampadine elettriche, l’automobile, la telefonia, il televisore, internet furono visti inizialmente con scetticismo. Ora è il turno dell’intelligenza artificiale, già molto presente nel quotidiano, ma di cui si inizia a realizzare la portata solo ultimamente.
Alzi la mano chi non guarda con un misto di curiosità e apprensione a sigle come Dall-E2 o Chat GPT, due dei programmi assurti agli onori della cronaca negli scorsi mesi e basati appunto sull’intelligenza artificiale. Creando palpitazioni a parecchie categorie professionali come giornalisti o consulenti, che non senza ragione, temono di essere sostituiti dalle macchine. Ricordiamo che quando si fece largo l’industrializzazione, molti avevano le stesse paure. In realtà emersero nuovi profili professionali e si crearono più professioni rispetto a quelle che scomparvero. Questo ovviamente non deve far dimenticare la necessità di intervenire sul breve per evitare che troppe persone escano dal mercato del lavoro perché non in grado di riqualificarsi. Ma su questo punto torneremo.
L’intelligenza artificiale, si diceva. Fondamentale è non perdere di vista il fatto che anche questa, malgrado il suo alone ancora un po’ misterioso, sta portando e porterà a nuove figure professionali, evidentemente in primis nell’informatica, come gli sviluppatori di prodotti di AI, incaricati di programmare e sviluppare algoritmi e sistemi che ne costituiscono la base stessa.
Un numero infinito di dati entreranno in ogni processo per la sua qualifica migliore, per cui saranno necessari esperti di ricerca e gestione, come pure di persone che, sulla base di princìpi etici, possano determinare quali elementi possano essere utilizzati senza ledere alle persone. Il ruolo di psicologo dello sviluppo, che dovrà anche intervenire per correggere i comportamenti sbagliati o indesiderati dell’intelligenza artificiale, in modo che essa abbia un comportamento il più riconducibile a quello umano (al meglio dello stesso) e che la collaborazione essere umano-macchina sia la più naturale possibile.
Questa collaborazione va a sua volta gestita da qualcuno che sia responsabile della squadra "essere umano-macchina" e che possa intervenire per calibrare al meglio l’attività umana e quella artificiale. Tutte queste evoluzioni che necessiteranno di competenze giuridiche puntuali, come ad esempio per il diritto d’autore per scovare dove sono stati utilizzati testi, immagini o altro senza che l’intelligenza artificiale ne fosse autorizzata. Anche per i creatori di contenuti l’intelligenza artificiale può rappresentare non un sostituto ma un formidabile mezzo ausiliario. L’equilibrio anche in questo fattore è fondamentale: utilizzare e non essere utilizzati.

Una buona istruzione garantisce protezione

Inevitabilmente, quanto detto sopra, avrà implicazioni importanti anche sul mondo della formazione, che dovrà offrire percorsi innovativi o rinnovati. Ma si tratta solo di corsi per professioni ipertecnologiche accademiche? No, attenzione a non farsi trarre in inganno. In precedenza, si è già accennato al fatto che occorre evitare che, a seguito degli sviluppi del mercato del lavoro, vi siano troppe persone che ne escano perché non aggiornate. E qui sta il nocciolo della questione. Non si tratta solo di pensare a grandi novità, ma anche e soprattutto di dare gli strumenti al maggior numero di persone possibile per adattarsi ai cambiamenti, cioè attraverso una formazione continua adeguata che permetta di agire in tempo e farsi trovare pronti.
Non basta infatti rivendicare che lo Stato intervenga sulle materie della formazione di base, anche perché è spesso necessaria rapidità di intervento che naturalmente i percorsi scolastici non hanno il tempo materiale per attuare. Il ruolo del privato in questo contesto è essenziale, per supplire in quel bacino di persone che necessitano di nozioni aggiornate e che, avendo il polso della situazione praticamente in tempo reale essendo a contatto con la realtà aziendale, possa dare risposte e soluzioni ottimali. Al di là della formazione di base, occorre dare costantemente la possibilità a tutti di aggiornarsi. Un responsabile d’azienda non sarà forse mai un mega-esperto di intelligenza artificiale, ma, per poter gestire al meglio l’impresa e i tecnici che se ne occupano, deve conoscerne almeno i tratti essenziali per poter agire consapevolmente. Non ci si rivolge ai soli percorsi accademici, ma a ogni lavoratore che debba essere messo in condizione di svolgere le proprie mansioni nel miglior modo possibile.
La Cc-Ti sta percorrendo da tempo questa strada della formazione continua, sia attraverso programmi di lunga durata che aggiornamenti rapidi che richiedono un investimento di tempo contenuto. È un piccolo ma fondamentale contributo del privato al mantenimento e al miglioramento delle competenze presenti sul territorio richieste da associati e associazioni di categoria, attente al fattore umano che le compongono. È una strada che va assolutamente percorsa e che è perfettamente complementare alla formazione di base.

L’opinione puntuale

di Cristina Maderni, Vicepresidente Cc-Ti


Come può la formazione porre rimedio, almeno parziale, alla carenza di manodopera?

Un problema così complesso può essere risolto solo con un mix di provvedimenti, fra i quali la formazione riveste di certo un ruolo importante. Su questo tema, il settore privato sa di potere e dovere giocare un ruolo importante. Sono decenni che la Cc-Ti si occupa della formazione continua concernente la gestione aziendale in senso lato. Le conoscenze specifiche sono di competenza delle associazioni di categoria, ma il ruolo della Cc-Ti è quello di dare gli strumenti appunto per una gestione aziendale al passo con i tempi. Non a caso si offrono più di 100 corsi all’anno e coinvolgiamo oltre 1’000 corsisti sui temi più disparati che vanno dalle conoscenze giuridiche alla gestione del personale, passando per la comunicazione e il marketing. Importante sottolineare che il tutto avviene con un approccio "bottom-up", cioè si costruiscono le proposte formative sulla base di quanto viene richiesto dalle aziende e non il contrario. Questa è la migliore garanzia per le aziende di costruire quelle competenze che esse stesse ricercano sul mercato del lavoro, ma non sempre trovano.

Come si possono promuovere formazioni per nuove professioni?

Questo è essenzialmente compito dei vari settori economici. La Cc-Ti però in un certo senso opera anche in questa direzione, attraverso i corsi che portano all’ottenimento di un diploma quello dedicato allo "Specialista della gestione PMI" e quello dell’"Impiegato export con diploma rilasciato dalle Camere di commercio e dell’industria svizzere". Con il primo, miriamo a dare un bagaglio di conoscenze fondamentali per guidare un’azienda sia a chi già è attivo in questo senso sia a chi ambisce al ruolo, magari nel quadro della successione in azienda, tema sempre più sentito e su cui lavoriamo in modo specifico. È una formazione che esiste da una trentina d’anni, affinata sempre più e che ogni anno coinvolge almeno una trentina di imprenditori e dirigenti, prevalentemente giovani.
Con la formazione dedicata all’export la Cc-Ti ha portato in Ticino un programma nazionale sviluppato con le altre Camere che è un unicum sia tematico che linguistico, essendo offerto in italiano. Si tratta di un riconoscimento importante del ruolo di chi opera a livello internazionale, sempre più rilevante per il nostro territorio.

Quale collaborazione esiste con lo Stato?

Anche qui sono in primis le associazioni di categoria che si relazionano con l’Autorità, soprattutto con la Divisione della formazione professionale. I rapporti possono certamente essere intensificati, nel pieno rispetto dei rispettivi ruoli. Un esempio positivo di collaborazione è l’iniziativa comune fra Cc-Ti e Autorità per promuovere una delle 44 nuove professioni promosse dalla Confederazione, cioè quella di Sviluppatrice e sviluppatore business digitale AFC. Figura importante per l’economia, in quanto questi professionisti avranno il compito di sostenere lo sviluppo, la trasformazione l’innovazione digitale di aziende o aree di business, nonché analizzare le problematiche del business digitale quotidiano, ottimizzare i processi e i prodotti su questa base. Competenze digitale e di gestione aziendale, un mix fondamentale e che sarà sempre più richiesto.

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