L'analisi

Vincitori nel panico

Un Salvini che esce dal colloquio con la presidente del Senato con la cravatta allentata di un reduce da un prolungato pranzo di nozze.

21 aprile 2018
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Un Salvini che esce dal colloquio con la presidente del Senato con la cravatta allentata di un reduce da un prolungato pranzo di nozze. Un Berlusconi che metterebbe i 5Stelle a “pulire i cessi” a Mediaset. Un Di Maio capace di considerare “non ostile” un appoggio altrui a un suo governo, qualcosa che nemmeno a De Mita sarebbe venuto alle labbra. La riva di approdo della crisi italiana è per ora questa.

Lasciamo intanto da parte Berlusconi, sonoramente sconfitto alle elezioni, ma tuttora dotato di capacità di ricatto. Restano gli altri due, il “nuovo” della politica italiana, premiati dagli elettori ormai quasi due mesi orsono: da tempo non si assisteva a una tanto misera messinscena politica, e si può ben comprendere lo scoramento di Sergio Mattarella.

Il presidente della Repubblica si è preso ancora qualche giorno di riflessione, dopo l’ennesimo nulla di fatto nelle consultazioni per la formazione di un governo. Ma è improbabile che questo nuovo intervallo conduca i contendenti a uno scatto di responsabilità politica, o che basti a colmare il vuoto di intelligenza progettuale di cui sono l’incarnazione.

Perché di questo ora si tratta: non tanto di schieramento, ma di assenza di spessore, di statura e credibilità. Una lacuna gravissima, che precede e impedisce il confronto sulle questioni di merito (dalle più elementari alle più urgenti), e soprattutto mina dall’interno la cornice istituzionale entro cui dovrebbe avvenire il confronto politico per dare forma e governo alle scelte degli elettori.

C’è, chiaro, un coerente nesso di causa-effetto tra l’esito del voto del 4 marzo e l’arrogante incapacità di chi principalmente ne ha beneficiato, tra elettori arrabbiati ed eletti arruffa-popoli. Ma si tratta di una constatazione persino banale con il sottinteso accusatorio nei confronti degli elettori. E poi non è di questo che parliamo. Basti dire ora che la pancia che li ha eletti sarà – per gli stessi motivi da loro ispirati e alimentati – quella che ne rigetterà il fallimento. Ed è questo che spaventa principalmente Salvini e Di Maio; alimentando nel primo il registro da bullo, nel secondo ispirando una patetica recita da democristiano di riporto, nell’uno e nell’altro caso a fare da cortina di fumo tra la realtà e il panico che ispira loro (con in aggiunta, per Salvini, l’inderogabile scelta tra salvare le giunte regionali condivise con Berlusconi o formare un governo senza di lui).

Ma è proprio da loro che dovrà venire espresso un governo rispondente all’orientamento indicato dal voto (e non occorre aggiungere che ogni ipotesi di coinvolgimento di uno screditatissimo Pd è indecente e fuori senno). La prospettiva è sinistra. Doppiamente sinistra, prefigurando un’Italia associata a Orban, Strache, Kaczynski, e condotta da gente del cui calibro si è avuto un saggio inequivocabile in questi giorni.

Il presidente Mattarella ne è certamente cosciente, e altrettanto coscientemente ritenterà di affidare un incarico che salvaguardi la scelta degli italiani ma anche la Repubblica stessa. Lo aspettano due giorni di tormento. Gli altri: due giorni di selfie e di tweet.

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