Economia

Wall Street vola, lo Stoxx rallenta

L’America è sempre preferita per la maggior flessibilità della sua economia e per la grande prodigalità delle sue autorità monetarie e fiscali

Il signor Denaro al lavoro (Keystone)

Meglio puntare sulle Borse europee piuttosto che su Wall Street, dicevano un mese fa i grandi investitori nel tradizionale sondaggio organizzato da Bank of America. E l’euro è preferibile al dollaro, perché resta ancora sottovalutato. Così dicevano, ma probabilmente hanno fatto il contrario. Dal 16 giugno l’indice Stoxx ha oscillato sempre sotto i 560 punti e, a distanza di un mese, si ritrova allo stesso livello; mentre Wall Street ha inanellato una serie di record come non si vedeva da tempo e l’S&P 500, a 4.385, segna un rialzo del 16,7% da inizio anno (+14,9% lo Stoxx) e uno stratosferico volo del 96% dal minimo di marzo 2020 (+64,5% Stoxx). Così, mentre l’S&P500 tratta a 22 volte gli utili previsti dei prossimi 12 mesi, l’indice europeo è a 17: con uno sconto di circa il 23%, come più o meno è stato da sempre.

Come si spiega

La relativa debolezza delle Borse europee è un fenomeno che si protrae da oltre tre lustri. Si sono addotte spiegazioni fondamentali per spiegare il divario e s’è puntato il dito sulle differenze strutturali tra l’economia americana e quella del Vecchio continente. Tutto probabilmente vero, ma non va nemmeno trascurato l’aspetto psicologico: quella particolare soggezione che hanno i nostri investitori nei confronti di Wall Street per cui ogni piccolo problema d’Oltreoceano finisce enfatizzato da noi.

Se n’è avuta dimostrazione giovedì 8 luglio, quando, non si capisce bene il perché, l’indice Vix di Chicago era schizzato a 21, segnalando un accresciuto rischio per il mercato azionario. Le Borse europee hanno subito mostrato perdite tra il 2 e il 3%, più che doppie rispetto a Wall Street: chi attribuiva il tracollo al prezzo del petrolio in calo (ben mezzo punto percentuale!), chi al presunto tono aggressivo (da falco) nelle minute della Fed, chi al risorgere dei contagi per la variante Delta e chi accampava pure un’immaginaria delusione dopo la riunione della Bce.

Nulla di tutto ciò era vero, tranne per i contagi che stanno raddoppiando ovunque, e il fatto che il sordo turbamento di Wall Street per un’economia che ha già toccato il picco ha sfiorato il dramma da noi: dimenticando che la ripresa in Europa è ancora lontana dall’aver raggiunto il suo massimo e che la politica monetaria della Bce resterà più a lungo espansiva di quella della Fed.

Ma, come sottolinea Giuseppe Sersale di Anthilia, quando si comincia a parlare di rallentamento economico o di crescita sotto le attese, l’America è sempre preferita per la maggior flessibilità della sua economia e per la grande prodigalità delle sue autorità monetarie e fiscali. In altre parole, al primo stormir di fronda a Wall Street, si vende sulle piazze europee.

In realtà la relativa debolezza dei mercati europei nell’ultimo mese non dovrebbe preoccupare più di tanto. Perché l’indice Stoxx tra il 19 maggio e il 16 giugno era salito il doppio dell’S&P (5,1% contro il 2,6%) e soprattutto perché il recente stallo è quasi interamente spiegabile con l’apprezzamento del dollaro rispetto all’euro: un più 4,1% che spiega la flessione dello 0,7% dell’indice EuroStoxx e il contemporaneo rialzo del 3,8% dell’S&P.

La data

Ma, perché la data del 16 giugno è così cruciale? Perché nella riunione della Fed di quel giorno la banca centrale ha fatto capire che i tassi d’interesse potrebbero salire prima del previsto, forse già sul finire del 2022, e che la riduzione del quantitative easing potrebbe essere annunciata a fine agosto e attuata a inizio anno. Coerente con questa prospettiva che finirebbe per ampliare il differenziale tra tassi americani e d’Eurozona, il dollaro ha guadagnato quattro punti in poche sedute, e molti investitori sono stati incentivati a vendere titoli europei, lucrando un poco anche sul tasso di cambio.

Quel che è successo invece ai titoli di Stato e alle azioni sfiora il paradosso: il rendimento del Treasury Usa decennale è caduto finendo sotto l’1,30%, proprio dopo la lettura del Beige Book della Fed, ritenuto assai poco accomodante, e Wall Street è presto salita a nuovo record. La reazione di quest’ultima stupisce assai meno, se si considera che il 48% dei flussi azionari è mosso dai piccoli investitori che operano online, per i quali i fondamentali dell’economia, delle aziende e della politica monetaria rappresentano un trascurabile dettaglio.

Incomprensibile resta invece la risposta del mercato obbligazionario, perché si continua a comprare Treasury anche se le grandi banche d’investimento stimano rendimenti sopra il 2% per fine anno. L’assurdo s’è completato martedì scorso, quando, alla lettura dell’inflazione di giugno (Cpi) salita dal 5% al 5,4%, ben oltre le attese che indicavano un lieve calo, il rendimento del titolo decennale è sceso ulteriormente. A questo punto l’unica spiegazione che si può avanzare è che una larga fetta d’investitori stiano comprando Treasury scommettendo, non più sulla ripresa economica, ma su una sorta di stagflazione (stagnazione più inflazione) in America.

Se si dà retta ai grandi investitori sondati da BofA, il mese di marzo avrebbe segnato le massime attese della ripresa economica e il picco delle aspettative sugli utili societari. Questi ultimi, tuttavia, sono ancora in forte crescita. Nella stagione di trimestrali appena iniziata in America, gli utili per azione sono stimati in crescita del 66% (dopo il 53% del 1° trimestre), cosicché il 2021 dovrebbe chiudere con un +37,4% (dati Refinitiv).

Meglio andrebbero le cose in Europa, poiché gli utili delle 600 società dell’indice Stoxx sono previsti in crescita del 47,2% quest’anno, grazie al balzo del 109% stimato per il 2° trimestre: e questo farebbe propendere per un maggior potenziale di crescita delle nostre Borse. Lo crede BofA che, oltre a stimare una più duratura ripresa economica, vede anche lo Stoxx salire a 475 ad agosto (oltre il 3%).

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