Economia

Non si chiarisce la vertenza tra banche svizzere e Roma

La risposta del servizio giuridico del Dff agli istituti sollecitati dalla Guardia di finanza crea ulteriori dubbi

Ti-Press
8 marzo 2019
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Le banche svizzere, in particolare quelle ticinesi, hanno un problema impellente con le autorità fiscali italiane. A dir la verità non solo le sole. Anche gli istituti finanziari monegaschi e del Liechtenstein hanno ricevuto nei mesi scorsi due lettere – una inviata dall’Agenzia delle entrate e un’altra dalla Guardia di finanza – tese a capire l’eventuale assoggettamento fiscale sul territorio italiano delle banche estere. In particolare l’autorità italiana ha chiesto, tra l’altro, informazioni e documenti sui redditi da capitale generati in Italia, sulle eventuali commissioni addebitate alla clientela italiana, sui dati personali di eventuali consulenti alla clientela operanti in Italia e sull’eventuale esistenza di società controllate o collegate operative in Italia. La Guardia di finanza ha dato un termine perentorio di 20 giorni, dal ricevimento della missiva, per rispondere. In caso di inadempienza, si prospetta una sanzione amministrativa di 2mila euro. Alcuni istituti della piazza finanziaria hanno chiesto delucidazioni al Dipartimento federale delle finanze (Dff).

Come comportarsi? Rispondere, chiedendo un’autorizzazione all’autorità federale o fare spallucce? A questa domanda, il servizio giuridico del Dff ha risposto negli scorsi giorni lasciando ancora più dubbi interpretativi. Da un lato afferma che la richiesta di autorizzazione ai sensi dell’articolo 271 del codice penale (compimento di atti per uno Stato estero che spettano a poteri pubblici, ndr) non è necessaria in quanto la richiesta della Guardia di finanza riguarda informazioni sull’attività economica dell’istituto coinvolto ed è finalizzata all’esame di un suo eventuale assoggettamento fiscale. “Il rilascio di suddette informazioni da parte del vostro istituto non rientra nel campo di applicazione dell’art. 271 CP e non richiede un’autorizzazione”, si legge nella risposta a firma di Fritz Ammann, capo del servizio giuridico del Dff. La lettera però si conclude con l’avviso, abbastanza chiaro, che “ciò non pregiudica la validità delle altre disposizioni del diritto svizzero, in particolare le disposizioni sulla protezione dei dati, il segreto bancario e gli obblighi delle banche in qualità di datori di lavoro”. In sostanza si dice che se si dà seguito alla richiesta della Guardia di finanza, si rischia di violare altre norme del diritto svizzero. Che fare, allora?

«Che la richiesta provenga da un’autorità estera e che abbia il carattere dell’ufficialità – contrariamente all’interpretazione del servizio giuridico del Dff – è abbastanza lampante», ci spiega il professore Paolo Bernasconi, esperto di diritto bancario. «In caso di risposta da parte delle banche si rischierebbe di violare anche l’articolo 273 del codice penale (violazione del segreto d’affari). È quindi necessario che intervenga direttamente il Consiglio federale, come già fece con il caso statunitense, in quanto è l’unica autorità in grado di autorizzare l’invio di informazioni in deroga ai disposti legali», precisa Bernasconi il quale sottolinea che si sta sottovalutando – da parte del governo svizzero – l’azione delle autorità italiane. «Ammettendo che l’interpretazione dell’assoggettamento fiscale delle banche svizzere in Italia sia corretto (stabile organizzazione personale, ndr), si pone il problema di poter dedurre dalle imposte pagate in Svizzera (e in Ticino) quelle pagate in Italia. Senza contare il rischio di azioni penali all’estero e amministrative in Svizzera (Finma) per la violazione delle disposizioni in materia di rischi con la clientela crossborder», conclude il professor Bernasconi.

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