Società

Tutte le ragioni del suicidio in tv

A un anno dall’uscita, si discute anche in Svizzera di ‘Tredici’, la serie tv prodotta da Netflix che tematizza il suicidio giovanile. È opportuna, pericolosa, necessaria?

17 luglio 2018
|

Ieri le agenzie di stampa ci informavano che è in calo il numero di suicidi in Europa, e anche in Giappone da alcuni anni si riscontra una tendenza analoga. Secondo i dati Eurostat (relativi all’anno 2015) la media europea è di 11 suicidi ogni 100mila abitanti: in cima alla classifica la Lituania a quota 30, fra gli ultimi l’Italia a 6, in Svizzera ci si attesta a quota 13. Nei giorni scorsi, però, la clinica universitaria psichiatrica di Zurigo ha reso noto che nel corso del 2017 i ricoveri per tentativi di suicidio sono aumentati del 40%, un fenomeno che toccherebbe soprattutto gli adolescenti. Riprendendo quanto da mesi negli Stati Uniti è oggetto di dibattito, pure in Svizzera si è puntato il dito contro una serie tv ormai celebre, ‘Tredici’, successo planetario nel 2017, di cui è da poco disponibile il secondo capitolo (tratta dal romanzo di Jay Asher).

‘Volete ancora chiudere gli occhi’?

In breve, la serie racconta le 13 ragioni per cui una adolescente, Hannah, ha scelto il suicidio, incise su sette cassette che il pubblico ascolta con il co-protagonista, Clay, l’amore mancato della ragazza. In questo tragitto emergono temi come bullismo, sexting, solitudine, incomunicabilità (soprattutto con gli adulti), autolesionismo, violenza sessuale. Negli Usa, accusata di favorire un effetto emulazione da molte famiglie, scuole, associazioni e psicologi, la serie è ora introdotta da un messaggio rivolto dagli attori agli spettatori: chi è fragile è bene che non la guardi da solo, inoltre può chiedere aiuto o trovare informazioni al sito 13ReasonsWhy.info. L’obiettivo, secondo i produttori di Netflix, è quello di favorire il dialogo fra adulti e adolescenti su questo tema. Per farlo, però, è necessario rappresentare la scelta della morte, con tutto ciò che implica. Del resto, negli Usa i primi a sollevarsi contro i divieti scolastici a discutere di ‘Tredici’ e le richieste di vietarla sono stati proprio gli adolescenti: preferite ancora chiudere gli occhi oppure vederla e parlarne con noi?

Roberta Invernizzi e Antonio Piotti sono due psicoterapeuti specializzati nel lavoro con adolescenti che manifestano pulsioni suicidali. Sul primo numero della rivista dell’Istituto Minotauro di Milano (minotauro.it) hanno dedicato un lungo approfondimento a ‘Tredici’. Se le accuse più gravi rivolte alla serie sono quelle di rendere romantico il suicidio e di banalizzare l’impatto salvifico che la morte della protagonista ha sulla sua comunità – in ossequio forse all’antico stereotipo culturale sulle ragazze giovani e belle in eterno, che con il loro sacrificio cambiano la realtà – Piotti e Invernizzi mettono in evidenza la cura con cui ‘Tredici’ racconta ciò che può accadere nella mente di una giovane pressata dal senso di inadeguatezza e da un contesto ostile che non sa strapparla alla sua «pulsione di morte».

Il teorema del bullo

Si tratta, secondo gli autori, «di ricostruire il progetto decisionale inconscio che sta nella mente di Hannah, capire perché si può preferire la morte alla vita e come mai uccidersi a un certo punto per lei diventa come un imperativo morale...». Proprio in questo percorso di autodistruzione (comune a tanti adolescenti) sta la questione del bullismo: «Assai spesso i bulli si difendono dicendo che la vittima “se l’è cercata”, si è autoesclusa, si è lasciata fare. Rispetto a questa forma di assoluzione, bisogna rispondere che proprio per questa ragione i bulli sono colpevoli: riconosciuto il processo vittimario hanno collimato con esso, invece che cercare di negarlo».

Tutto questo, va detto, è rappresentato con cura e realismo dalla serie. Fra gli altri, Piotti e Invernizzi mettono in evidenza l’episodio del test/gioco che con un algoritmo promette di indicare l’anima gemella: la protagonista risponde a tutte le domande e vede comparire in cima alla lista dei ragazzi adatti a lei il nome di Bryce, il personaggio negativo – il figlio della borghesia ricca, assente e priva di valori –, colui che la violenterà. Sta in questa chiave di volta il racconto accurato di un «meccanismo autodistruttivo», proprio di molte giovani vittime che inconsciamente vanno incontro alla fine, condannate dall’incapacità soprattutto degli adulti – distanti, impauriti, pieni di pregiudizi – di strapparle a questo destino. Sotto questo aspetto ‘Tredici’ va molto più in profondità di quanto non facciano le critiche che le vengono rivolte. Come evidenziano Piotti e Invernizzi, la serie rappresenta bene «il conflitto tra istanze di vita e promesse di morte che attraversa i ragazzi che vogliono uccidersi».

Per quanto riguarda l’accusa di favorire il cosiddetto “effetto Werther”, l’emulazione, oltre a raccontare il vuoto e il dolore che una morte lascia, rispetto al romanzo la scena del suicidio nella serie è stata modificata: da un suicidio per pastiglie, ad uno in cui la protagonista si taglia le vene e viene vista agonizzante nella vasca da bagno piena di sangue, proprio per sfuggire quella «misteriosa capacità di attrazione» del suicidio, rimarcando tutto il tragico quanto doloroso realismo di quel gesto.

Le ragioni della vita

Resta sul tavolo della discordia tutta la straordinaria potenza di un racconto filmico ben fatto, di difficile lettura proprio per l’accuratezza con cui è sviluppato, passibile di fraintendimenti da parte del pubblico più fragile. Ritornando al proposito dei produttori – discutere e capire – resta la responsabilità degli adulti di non sfuggire la responsabilità di condividere con i ragazzi contenuti che possono far paura ma che non possono essere elusi con un semplice divieto. Come notano Piotti e Invernizzi, «non si tratta di arrivare a prendere una posizione a favore o contro la serie. Viceversa, si rende necessario consegnare al pubblico, soprattutto a quello degli adolescenti e dei preadolescenti, delle lenti che permettano di vedere tutte le sfumature della vicenda al di là dei suoi aspetti romantici, di capire come l’idea della morte volontaria spesso si insinua anche nella loro mente o in quella dei loro coetanei. Soprattutto, si tratta di sostenere le ragioni della vita, dell’amore, dell’amicizia contro quelle della morte».

Questa serie tv, aggiungiamo, ci sembra farlo in modo serio, accurato e tutto sommato responsabile, rompendo di fatto un tabù culturale e portando all’attenzione del pubblico temi fondamentali del nostro tempo; senza gravi banalizzazioni, ma raccontando gli effetti che un evento tragico ha sulla storia di personaggi diversi. Si tratta di capire se il pubblico, soprattutto adulto, sia pronto a fare altrettanto.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE