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John Basset Trumper, l’intervista; Rosetta Loy, il ricordo

Incontro con il linguista gallese, che ha applicato fonetica e linguistica alle inchieste giudiziarie. E un ritratto della scrittrice, morta nel 2022

Pubblichiamo contenuti da ‘Otium’, pagina culturale a scadenza mensile

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John Basset Trumper, un linguista non come gli altri

intervista di Massimo Danzi

In un ambito ‘giudiziario’ non così ovvio per un linguista, il gallese John Bassett Trumper ha applicato le sue competenze di fonetica e linguistica alle principali inchieste criminali degli anni ’70 e ’80, facendo evolvere verso la scienza una disciplina usata spesso in modo impressionistico. Le sue inchieste accompagnano, in Italia, gli anni dei sequestri di persona, quelli della strategia della tensione e dei grandi crimini, contribuendo a individuare o a scagionare colpevoli e presunti colpevoli. Un esercizio giudiziario della linguistica rimasto spesso dietro le quinte dei grandi eventi giudiziari e mediatici. Gli abbiamo rivolto alcune domande.

Professore John Trumper, lei è gallese con studi a Londra dove ha avuto professori lo storico della letteratura Carlo Dionisotti e il linguista Giulio Lepschy e sua moglie Anna Laura Momigliano. A Padova ha iniziato la sua carriera, prima studiando con Carlo Tagliavini e Gianfranco Folena, poi da studioso di glottologia e linguistica generale. La sua specializzazione in fonetica e sociolinguistica è all’origine delle perizie giuridiche di cui parleremo oggi. Ma prima di tutto: cosa conduce un gallese in Italia e come si diventa quell’ "orecchio assoluto" delle perizie fonetiche, quale è riconosciuto dai colleghi?

L’inizio potrebbe essere proprio il mio interesse per l’Italia e l’enorme complessità linguistica dell’italoromanzo. Questa caratteristica mi ha fatto cercare di creare modelli omogenei – non analisi estemporanee –- su circuiti linguistici, che successivamente sono alla base dei metodi messi a punto per le perizie. In realtà, sia i miei studi di fonetica sia quelli di dialettologia sono ricerche che mettono a frutto i metodi della statistica per fornire modelli di analisi linguistica e andare oltre l’osservazione impressionistica. Due sono i momenti di questo tipo di ricerca: il primo è l’individuazione, tramite l’analisi statistica, di variabili significative elaborate dal linguista, di una comunità omogenea (quella del parlante ‘ignoto’); il secondo è l’analisi statistica delle variabili ‘vocaliche’ (fonetico-fonologiche e sintattiche con distribuzione gaussiana normale, non quelle lessicali con distribuzione chiamata LAMBDA di difficile uso, se non con enormi corpora) per i noti e l’ignoto della comunità individuata.

Sono famose le sue perizie sulla strage di Peteano del 1972 (tre carabinieri attirati sul posto e uccisi aprendo il cofano di una Cinquecento imbottita di esplosivo), sulla cosiddetta "rosa dei venti" nel 1974 (un’organizzazione di stampo neofascista collegata coi Servizi di intelligence, che partecipò con attentati alla cosidetta "strategia della tensione") e infine nel 1978 sul delitto Moro. Quest’ultima perizia scagionò Toni Negri e Giuseppe Nicotri dall’accusa di essere i telefonisti delle BR. Ricordo che lei lavorava anche sui sequestri di persona, allora tristemente di moda, con un registratore portatile. Quanto era importante la tecnologia?

Il ruolo degli studi linguistici nel corso degli anni è andato aumentando di peso, anche se non in modo che io considero sempre apprezzabile. Negli anni di cui stiamo parlando, sicuramente i mezzi tecnici erano molto modesti sia per quanto riguarda la raccolta dei dati sia sul piano dell’analisi strumentale. L’analisi acustica e l’elaborazione statistica erano effettuate con macchinari molto più complessi di ora e non in possesso del singolo, da qui la mia richiesta di un laboratorio di fonetica all’Università della Calabria - tra i pochi in Italia - che di fatto ho fondato nei primi anni Ottanta. Sia le perizie sui sequestri di persona sia quelle su atti criminali sia le perizie più ‘politiche’ sono solo uno dei modi in cui gli studi linguistici, possono essere utili anche fuori dell’ambito accademico ristretto. Due punti linguistici sono stati rilevanti nel caso Peteano al fine di localizzare il parlante: (1) l’impiego di essere locativo senza pronome locativo (‘è’ per ‘c’è’, ad esempio), (2) la particolare curva intonativa del parlante (frequenza fondamentale) e non solo la variabilità fonetico-fonologica. La tecnologia usata e l’elaborazione statistica (con adeguati programmi) diventano sempre più importanti dai primi anni ’70 in poi.

Veniamo alle sue scelte. Quasi tutti collegi di difesa, quasi lei preavvertisse che le accuse d’essere il telefonista, nei vari contesti criminali, fossero poco motivate e anzi, a volte, ingiuste. È un Robin Hood che ha scelto i boschi delle Venezie e della Calabria?

Gli epiteti che mi sono stati attribuiti in quel periodo vanno da Sherlock Holmes a professor Higgins; per fortuna, la mia visibilità mediatica è poi scemata e quindi sono tornato a essere uno studioso che mette a frutto le sue ricerche, che non finiscono mai. Non si tratta tanto di Robin Hood ma della ricerca di probabili verità non più nascoste sotto qualche tappeto. Il mio impegno, semmai, era quello di fornire un apporto linguistico serio alle inchieste, schierandomi dalla parte della ‘verità’ scientifica. In quegli anni, però, questo non è stato sempre compreso. Un altro scopo era di aumentare le conoscenze in quest’ambito:
per questo mi amareggia che, soprattutto in un periodo come quello attuale, linguistica, sociolinguistica, etnolinguistica vengano intese in modo lontanissimo da quello che ho sempre praticato.

Tra le perizie più famose, ci fu quella che scagionò Toni Negri dall’accusa d’essere il telefonista che, nell’aprile del 1978, indicò all’intendente della famiglia Moro il luogo dove era nascosto il cadavere. Anni dopo, quando si conobbe il nome del vero telefonista, il quotidiano "Le Monde" le dedicò una pagina intera perché la sua perizia coincideva perfettamente col ritratto ‘linguistico’ di Moretti. Come è possibile tanta efficacia nell’individuazione ‘linguistica’ di un parlante?

Per i motivi già indicati. La conoscenza dei circuiti dialettali, e la loro conseguente ricaduta sull’italiano regionale in modo complesso, derivano da una estesa raccolta di dati nel corso degli anni e dall’uso di modelli scientificamente validi (in senso galileiano). Questo approccio, usato normalmente nelle ricerche, viene applicato per individuare una provenienza che circoscriva un’area. Seguono analisi comparative con voci anonime e gruppi ‘coerenti’ di parlanti dell’area individuata. Nel caso di Negri, escludendo una ipotesi ‘veneta’ restava da individuare un’altra probabile provenienza; avendo a disposizione molti campioni di voci per regioni italiane e accrescendo sul campo la raccolta, sono giunto a tracciare un profilo compatibile con le basse Marche. Quando il vero autore è stato scoperto, si è visto che si trattava di una ipotesi più che verosimile.

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Rosetta Loy (1931-2022)

di Marina Giaveri, comparatista

Il salone dell’Istituto Italiano di Cultura era affollato, il Direttore animato, e la scrittrice rispondeva alle domande con calma precisione: era bella, raffinata, con una sottile dolcezza di modi. Così ho conosciuto Rosetta Loy, nel 1996, alla presentazione parigina della traduzione di un suo libro difficile: Cioccolata da Hanselmann, una storia svizzera che si dilatava – fra narrazione e memoria – dall’entre-deux-guerres all’immediato dopoguerra.

Di Rosetta Loy avevo letto con entusiasmo, anni prima, Le strade di polvere (1987), una cronaca piemontese che raccontava – di generazione in generazione – le fatiche e le speranze di una famiglia del contado monferrino. L’avevo immaginata figlia di quella terra, impregnata dei suoi ritmi quotidiani, tanto era precisa la conoscenza e la resa delle atmosfere contadine: umidità invernale, serpeggiare di malattie, rassegnazione alla povertà, e il breve squarcio festivo di una recita carnevalesca o di un ballo a palchetto. La scoprivo invece romana, urbana, elegante nell’arte borghese di una conversazione che passava lieve dall’italiano al francese, mentre il suo sorriso gentile smorzava in amabilità l’acutezza dell’intelligenza. Avrei scoperto quella sera, leggendo Un chocolat chez Hanselmann, una delle tematiche fondamentali della sua scrittura: la responsabilità storica e morale degli individui e dei Paesi di fronte a tragedie come le leggi razziali. Nel romanzo le sottili ambiguità di una vita famigliare fra Italia e Svizzera si dilatano, nell’incalzare degli avvenimenti, fino alla catastrofe: la proclamazione fascista delle "leggi per la difesa della razza", l’entrata in guerra dell’Italia, la fuga disperata degli ebrei davanti a cui si chiudono le frontiere. Sfilano le citazioni delle norme che puniscono "chiunque faciliti l’entrata o uscita illegale dalla Svizzera, chiunque dia asilo ai rifugiati senza autorizzazione delle autorità competenti"; i rapporti personali si trasformano: diventano solidarietà o menzogna, complicità di reato o ricatto.

Il tema del silenzio di fronte all’orrore sembra segnare ampia parte dell’attività letteraria di Rosetta Loy: si fa esplicito ne La parola ebreo (1997) memoria autobiografica che ripercorre gli anni Trenta-Quaranta con lo sguardo della brava bambina "seduta su una seggiolina azzurra", a cui un’anziana e gentile vicina di casa, la signora Della Seta, a volte viene a portare un giocattolo. D’improvviso la vecchia signora scompare: che cosa sta succedendo a Roma – città di un Paese in guerra, città "aperta" dove gli ebrei sono rastrellati e "il Vaticano tace"? Nella nitidezza di una scrittura sensibilissima e controllata fiorisce il percorso complesso che trasforma l’attualizzazione narrativa del passato – fondata non solo sulla memoria, ma su una ricchissima base documentaria - in riflessione storica; è il caso di La porta dell’acqua e di Ahi Paloma (2000), o ancora di Nero è l’albero dei ricordi, azzurra l’aria (2004), il romanzo che ripercorre gli anni di guerra avvalendosi anche del diario inedito di un combattente e che conduce passo passo il lettore dalla vita quotidiana di una "famiglia felice" alla rievocazione del massacro nazista di Sant’Anna di Stazzema.

Nell’intrecciarsi di riconoscimenti nazionali e di traduzioni internazionali, la produzione della scrittrice romana continua fino al momento in cui – quattordici anni dopo averlo perso – un ultimo libro raccoglie il ricordo del compagno di affetti e di passione letteraria, Cesare Garboli. Rileggo Cesare (2018) e rivedo quella splendida coppia che incontravo sempre insieme - ma nella totale autonomia dei temperamenti, dei gusti, persino delle case parigine: lui vivace di polemiche da "maledetto toscano", implacabile contro la stupidità; lei tranquilla di un rigore etico che non risparmiava il passato, ben controllava il presente e si faceva garbato ma inflessibile ammonimento per il futuro. Una splendida coppia, poi solo una splendida signora che ci ha lasciato romanzi esemplari; e che infine nell’autunno del 2022, silenziosamente ci ha lasciato.


Rsi
Rosetta Loy

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