Bellinzonese

Fallimento Airlight, chieste pene complessive per oltre 8 anni

Il pp Galliano bacchetta i cinque imputati: ‘Hanno pensato solo a se stessi attingendo da un pozzo senza fondo’. La difesa si batte per l’assoluzione

Il procuratore pubblico Daniele Galliano
(Ti-Press)
22 marzo 2023
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«Non ho mai sentito chiedere scusa, dire ‘mi spiace’. Hanno favorito sé stessi anziché la società che dovevano amministrare». In un'ora di requisitoria il procuratore pubblico Daniele Galliano ha ricostruito quasi dieci anni «di un sogno finito malissimo». Quello della Airlight di Biasca fondata nel 2007 e fallita nel 2016 con un buco di 25 milioni dopo non essere riuscita a certificare il corretto funzionamento del proprio impianto solare realizzato in Marocco. A carico dei cinque imputati il magistrato inquirente ha chiesto pene complessive per oltre 8 anni di detenzione. I reati: amministrazione infedele aggravata, diminuzione dell'attivo a danno dei creditori, favori concessi ai creditori e cattiva gestione.

La colpa di Francesco Bolgiani «è relativamente bassa. Finanzia l'attività ma è il primo a lasciare il Cda e a riottenere i suoi soldi quando a metà/fine 2015 la barca affonda. È lui il primo a beneficiare delle cessioni illegali». Proposta quindi una condanna al pagamento di 180 aliquote giornaliere sospese condizionalmente per due anni; alla Corte la competenza di determinare il valore in franchi dell’aliquota. Quella di Andrea Pedretti «è una colpa di grado medio-grave: da direttore, di fronte alle difficoltà doveva essere il primo a restituire gli aiuti finanziari personali ottenuti dalla Sa che lui stesso dirigeva. Ha gestito l'operazione con estremo egoismo, senza farsi alcuno scrupolo». Chiesti dunque 14 mesi di detenzione sospesi per due anni. Quanto a Federico Micheli, «nel Cda ha avuto un ruolo minore degli altri. Curava aspetti tecnici e di commercializzazione. Ma è sempre presente nel Cda e mai si oppone alle decisioni, avallandole. Non ha avuto alcuno scrupolo. Colpa grave, ma attenuata del lungo tempo trascorso e dalla collaborazione data durante l'inchiesta». Chiesti per lui due anni di detenzione sospesi per due anni.

Quindi Pasquale Cardarelli: «Aveva più esperienza di tutti. E più di tutti avrebbe dovuto impedire i fatti di natura penale. Pieno di sé, un grande ego. Con le cessioni illegali ha voluto salvare i rami verdi dell’albero secco. Incomprensibile che riceva 125’000 franchi nel settembre 2015, quando la situazione appare gravissima. Ha favorito se stesso anziché la società. Poi a dicembre la holding è sott’acqua: la nave ha già impattato contro l’iceberg e il Cda decide di vendere la manufacturing a un franco». Viste le sue condizioni di salute e l’età avanzata di 89 anni il procuratore ha chiesto due anni di detenzione sospesi per due anni di prova, «anziché una reclusione che meriterebbe». Infine Marco Zanetti: «La sua è la colpa più grande. Tutto ruota attorno a lui, presidente del Cda dall'autunno 2015. Non esce un franco che lui non voglia. Fatica a riconoscere gli errori, è arrogante, guarda dall’alto verso il basso, non riconosce gli errori, scarica su altri le responsabilità. Non ha collaborato nell’inchiesta». Chiesti perciò tre anni di detenzione, di cui sei mesi da espiare in carcere.

‘Macchina mangiasoldi’

«Holding e manfacturing non hanno mai prodotto ricavi, sempre in perdita. Erano un pozzo senza fondo, una macchina mangiasoldi. Saldo finale? Perdite per 52 milioni di franchi. Non sorprende in un campo innovativo quale è quello delle energie rinnovabili. Tuttavia...». Il pp Galliano ha quindi analizzato i fatti di natura penale. «Vediamo bilanci in perdita per 8 anni e 29 aumenti di capitale della holding di Lugano per finanziare la manufacturing di Biasca. Senza mai raggiungere un obiettivo. Normale?». Dal profilo giuridico «non discuto l’idea imprenditoriale, che era affascinante. Il rimprovero è di diritto, perché occorre tracciare un limite stabilito dalla legge, l'articolo 725 del Codice delle obbligazioni, secondo cui quando si è in eccedenza debiti si reagisce per risanare o si deposita il bilancio. Invece hanno fatto proprio quanto non va fatto in una situazione di dissesto finanziario».

I singoli reati

Amministrazione infedele aggravata e diminuzione dell'attivo a danno dei creditori: «Nonostante la difficile situazione è stato condonato un prestito a Pedretti per 628mila franchi. E sì che Pedretti dal 2010 guadagnava 240mila franchi l'anno. Ha ottenuto dalla Sa prestiti senza contratto, né interessi, né termini di rimborso. Nell’autunno 2015 il nuovo Cda cosa fa? Non li chiede indietro. Questo di fronte alla grande difficoltà finanziaria della manufacturing, che volevano vendere a un franco: una situazione catastrofica».

Quindi i ripetuti favori concessi ai creditori: «Non discutiamo qui del valore della proprietà intellettuale dei brevetti, ma è chiaro che si è favorito determinati creditori. Infatti la cessione di credito con compensazione non è usuale né legalmente possibile. Si è fatta un'operazione opaca, senza una perizia sul valore della proprietà intellettuale e delle azioni, quando manufacturing era in eccedenza debiti; e anche dopo il deposito dei bilanci. Eppure tutto il nuovo Cda tra fine 2015 e inizio 2016 sapeva benissimo del forte dissesto finanziario delle due società. L’impressione è che gli imputati abbiano preso le parti buone della società, anziché depositare i bilanci. L’impressione è che fossero riserve occulte. Le cessioni non hanno migliorato l'esposizione verso terzi ma solo verso gli azionisti. Non regge perciò la tesi difensiva che si sia creata plusvalenza».

‘Grave negligenza’

Infine la cattiva gestione: «Nonostante il sovraindebitamento – ha sottolineato il pp Galliano – dopo il 31.12.2015 non si è risanato né si sono depositati i bilanci. Il Codice delle obbligazioni concede al massimo tre mesi di tempo. Invece nemmeno viene più tenuta la contabilità, e questo è gravissimo. Ma come si fa?! C’è una grave negligenza di fronte ai doveri imposti dal Codice delle obbligazioni. Inoltre le riserve stavano finendo e l'interesse del prestito obbligazionario era molto importante. Quando poi la manufacturing fallisce nell’estate 2016, gli imputati persistono: vanno avanti nel sogno creando un buco di 25 milioni. Chiedono proroghe al pretore per tirare avanti, senza produrre bilanci: questo non salva il Cda dalle sue responsabilità penali».

‘Assoluzione completa’

È stato quindi il turno della difesa, a cominciare dall'avvocato Stelio Pesciallo per Marco Zanetti. Quattro ore di arringa conclusasi con la richiesta di proscioglimento completo: «Fondamentale, per cominciare, è quanto scrive la società di revisione nel giugno 2015 ritenendo corretto il fabbisogno di 11 milioni indicato dal Cda per assicurare l’attività di un anno sino a fine giugno 2016. In quel momento la strategia del Cda, attivatosi concretamente anche cercando partner industriali per concretizzare le sue proprietà intellettuali, era chiara: ridurre drasticamente il personale e dedicare quello rimasto allo sforzo di certificare l’impianto in Marocco; fabbisogno di 11 milioni che sarà ridimensionato anche riducendo i debiti verso terzi e producendo plusvalenze per oltre 6 milioni con le compensazioni. Abbandonati quindi progetti secondari per domande di brevetto che sono state vendute producendo concrete entrate in contanti a favore del gruppo, pari a 2,4 milioni. In definitiva nessun danno a carico delle società, ma solo vantaggi. E grande impegno anche nei confronti della banca, nel tentativo di ottenere la proroga del prestito di 24 milioni. Conseguentemente, tutto quanto messo in atto dal Cda, ma contestato penalmente dall’Accusa, è da leggere in quest’ottica, con la sola volontà di giungere alla commercializzazione della tecnologia Csp che in Marocco ha raggiunto una quasi completa certificazione, non conclusa per improvvisa mancanza di finanziamenti a metà 2016 da parte del gruppo di garanzia. Quanto al periodo subito precedente, l’Accusa non ha fornito la prova di un sovraindebitamento; e non c’è prova che i fondi propri siano diminuiti; né che vi sia stata negligenza».

‘Nessuna volontà di raggirare’

Sulla stessa lunghezza d'onda l'avvocato Mario Postizzi per Pasquale Cardarelli: «Al mio cliente sono mosse ingiustamente accuse per azioni antecedenti la sua presa di coscienza del sovraindebitamento, che di sicuro non era noto a fine 2015 ma lo è stato solo sei mesi dopo. Quelle fatte sono tutte operazioni riconducibili a un piano di risanamento, non alla volontà di raggirare: gli accusati hanno applicato correttamente il diritto societario nell’ambito dell’azione di risanamento avviata, in modo sensato, in difesa degli interessi del gruppo societario. Azione imposta dal gruppo di garanzia e avvalorata dalla società di revisione che ha seguito l’operazione passo a passo. Se Cardarelli non lo avesse fatto, se non avesse ridotto l’attività ad ampio raggio della manufacturing cedendo le altre domande di brevetto, sarebbe stato accusato di non aver agito nell’ottica di un risanamento societario di gruppo. Il Tribunale federale lo dice a chiare lettere: risanare non è un diritto ma un dovere, sempre che sia possibile salvare il salvabile con azioni sensate. Ciò che tra fine 2015 e inizio 2016 è stato fatto con scienza e coscienza, senza tirare a campare. Dal profilo soggettivo questo è un punto fondamentale». Gli altri tre legali si esprimeranno il 31 marzo. La sentenza è attesa verso Pasqua.

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