Commento

Un’altra pezza al vestito stretto

11 aprile 2017
|

Come si fa a proteggere una comunità locale, quando il rischio è distribuito individualmente (perché sempre meno rappresentato e difeso da istanze associative)? Può il mercato globale essere confinato in un recinto ristretto di concorrenza perché le condizioni particolari (non solo economiche) di una piccola realtà lo richiedono? Non sono domande secondarie, in tempi come i nostri che vedono l’intero Ticino politico – anche la sinistra che siede in Gran Consiglio – schierato a favore di un intervento pubblico (leggi aggiudicazione delle commesse cantonali o comunali) “calmierato”, vale a dire teso a salvaguardare la migliore offerta che – per dirla con le parole di Natalia Ferrara, relatrice ieri in aula – non è necessariamente quella a minor prezzo.
La questione è complicata, va detto, a prescindere dagli schieramenti a volte estremi su protezionismo e totale apertura dei mercati. Poi, non va dimenticato, c’è un Concordato intercantonale sugli appalti pubblici (Ciap) che detta regole federali, nonché un accordo bilaterale con l’Unione europea che garantisce la libera circolazione delle persone e delle risorse. Non ultimo, il buon senso che vede architetti e ingegneri svizzeri (ticinesi compresi) vincere e aggiudicarsi appalti pubblici in mezza Europa.
Il terreno è dunque scivoloso. Resta il fatto che in Canton Ticino l’intera classe politica ticinese da alcuni anni a questa parte ha deciso di privilegiare “prima i nostri” e il popolo la sostiene a grande maggioranza. In teoria. Quando poi si passa all’applicazione concreta del principio, spesso cade l’asino. Esempio eclatante, la legge sulle imprese artigianali (Lia) oggi incagliata nei ricorsi. Certo, questa volta – con la riforma sulle commesse pubbliche che ieri ha ricevuto il via libera del Gran Consiglio – si è pensato bene di allargare il recinto all’intera Confederazione, vale a dire le commesse pubbliche potranno coinvolgere unicamente i concorrenti residenti o con sede in Svizzera. Ma basta per evitare impedimenti ricorsuali? Claudio Zali, direttore del Dipartimento del territorio, s’è detto più volte sereno. Vedremo.
La riforma approvata ieri presenta le tipiche contraddizioni del periodo storico che stiamo vivendo. Da un lato si chiede più protezione per l’economia regionale (il che non è di per sé un male), dall’altra s’invitano le attività imprenditoriali a tener conto della “responsabilità sociale” (è scritto nero su bianco nella legge approvata ieri) e cioè di tutta una serie di principi e pratiche tesi a tutelare ambiente, socialità, lavoro, professionalità. Lacci e lacciuoli che il mercato, per la verità, ha sempre considerato freni alla libera impresa. Eppure è l’unica via, per quanto stretta, per provare a scardinare l’ormai perpetuo stato di smarrimento che coinvolge larghi strati della popolazione.
Detta altrimenti, è solo potenziando la qualità del lavoro e la sua retribuzione che l’economia regionale – ma non solo quella – può attendersi una corsia privilegiata nell’assegnazione del denaro pubblico. Già Ulrich Beck ben trent’anni fa, a proposito dei rischi dati dalla nuova sottoccupazione, l’aveva preannunciato: “Senza un’estensione del sistema della protezione sociale incombe un futuro di povertà”. Ben venga la riforma (pur con tutti i dubbi giuridici del caso), ammessa e non concessa la comprensione di chi (l’Ue) conosce periferie messe decisamente peggio delle nostre. Ma ormai, qui come altrove, si procede a un passo per volta. Rappezzando, perché scarseggia in designer, un abito sempre più stretto.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔