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Una tegola solare

24 giugno 2017
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Fonti rinnovabili? Buone, ma brutte. La questione, a livello planetario, sembra irrilevante. In generale, un tetto fotovoltaico è sempre meglio di una centrale a carbone, che uccide con i suoi fumi. Per molti, però, diventare autosufficienti grazie ai pannelli sul tetto resta un sogno irrealizzabile. Nei centri storici di tutta Europa, negli edifici protetti e in molte isole è quasi impossibile ottenere l'autorizzazione a installare un impianto fotovoltaico. I vincoli paesaggistici spesso sono talmente stretti che il divieto è assoluto, a meno che le celle solari non siano invisibili. Da qui l'idea di nasconderle, di annegarle in un materiale che somiglia a quello comunemente usato per le coperture dei tetti, per il rivestimento di un muro cieco o  di un lastricato. Ci hanno provato in molti, anche la Tesla di Elon Musk con una strato di vetro, ma Invisible Solar è il primo coppo fotovoltaico davvero indistinguibile dagli altri che arriva sul mercato. Ed è subito boom.

Lavorazione manuale e tante, troppe ordinazioni

«Da quando abbiamo cominciato la produzione, qualche mese fa, non riusciamo a far fronte agli ordini, non solo dall'Italia ma anche dalla Francia, dalla Spagna e dagli Stati Uniti», spiega Giovanni Quagliato, un artista vicentino che lavora da sempre con le resine epossidiche per le sue opere e ha scoperto sul campo il segreto per dare al composto polimerico un aspetto totalmente naturale e al tempo stesso trasparente alla luce. Il composto può variare per assomigliare a qualsiasi materiale edilizio, che sia terracotta, pietra, cemento o legno, sopporta elevati carichi statici e non teme agenti atmosferici o solventi chimici. «La questione sta tutta nella densità: dev'essere sufficiente a ingannare l'occhio umano ma non troppo alta per non bloccare i raggi del sole», precisa Quagliato, che ha lanciato già da anni una linea di produzione di lampade a led basate sulla stessa tecnologia, Medea, per poi rivolgersi al fotovoltaico con la linea Dyaqua, avviata in collaborazione con l'Agenzia nazionale italiana per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile.

Per i paesaggi storici

Dalla sensibilità dell’artista al rispetto dell'ambiente e dei paesaggi storici il passo è breve. «Il principio è lo stesso, nelle lampade la luce viene da dentro e deve uscire fuori, mentre nei coppi fotovoltaici sono i raggi del sole che arrivano da fuori e devono penetrare nel materiale trasparente per colpire le celle fotovoltaiche», rileva Quagliato. Applicare questa teoria, però, non è stato affatto semplice. Per ottenere la concentrazione ideale ci sono voluti anni di lavoro e di test da parte degli scienziati dell'Enea, in particolare Carlo Tricoli e Michele Pellegrino, che hanno analizzato il prototipo uscito vincitore dal concorso Energie Rinnovabili e Paesaggio indetto dall’associazione ambientalista Marevivo. I test sono serviti a verificare un rendimento considerevole, di quasi 70 watt di picco per metro quadro (15 metri quadri di coppi danno un megawatt) ovvero circa la metà di un modulo classico. Il materiale viene offerto sul mercato a un prezzo di 7 euro per watt, contro 1-2 euro per watt dei moduli normali. «Bisogna tener presente che questi sono prodotti artigianali, pensati solo per i centri storici: anche tra un coppo normale e uno specifico per i centri storici ci sono spesso differenze di prezzo da 1 a 7», fa notare Quagliato. 

La produzione va aut0matizzata

La produzione, del resto, non è uno scherzo. Per ora non esistono macchine in grado di sostituire l'attenta mano dell'uomo nella stesura dei diversi strati di resine, a densità variabili sotto e sopra le celle fotovoltaiche, con la curvatura giusta per realizzare un coppo. Più semplice è la realizzazione di superfici piane, che assomigliano alla pietra o al cemento, ma in ogni caso si tratta di un lavoro da certosino, che non può essere confrontato con la produzione industriale di coppi o di pannelli fotovoltaici normali. «Per accelerare la produzione bisognerebbe inventare delle macchine per integrare o sostituire il lavoro manuale», sostiene Quagliato. Solo così si arriverebbe a una produzione di massa, che potrebbe anche consentire di abbassare i prezzi e aumentare la competitività del prodotto rispetto a rivali giganteschi come il Solar Roof, appena lanciato da Tesla. Mancano fondi, però, da investire in questo senso. Ci ha pensato Matteo Quagliato, figlio di Giovanni e suo collaboratore in Dyaqua, insieme alla sorella Elisa.

Matteo ha lanciato una campagna di crowdfunding su IndieGoGo per lo sviluppo di Invisible Solar.

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