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Una batteria liquida per immagazzinare l'energia rinnovabile

Il team che sta creando la batteria liquida. Da sinistra a destra: Hubert Girault, il dottor Heron Vrubel, la dottoranda Véronique Amstutz e Chris Dennison
(Chantal Derveyat)
20 giugno 2015
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di Sophie Davaris, La Tribune de Geneve, Svizzera

Un team del Politecnico federale di Losanna ha progettato una batteria in grado di immagazzinare energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili.

Come si conservano le energie rinnovabili? Questa è una delle più grandi sfide della transizione energetica. Un team del Politecnico federale di Losanna (Epfl) ha lavorato per quattro anni allo sviluppo e alla costruzione di un sistema di stoccaggio. Una volta installato in un ambiente domestico, consentirebbe di immagazzinare l’energia in caso di surplus di produzione per poi rilasciarla nelle ore di picco. «Un contenitore potrebbe fornire energia a circa un centinaio di famiglie», rileva il professor Hubert Girault, che con il suo laboratorio di elettrochimica fisica ed analitica ha progettato un prototipo, installato a Martigny, nel Vallese, nella primavera del 2014.

«Attualmente, l'unica energia rinnovabile che può essere conservata in grande quantità è quella idraulica. È possibile riuscirci utilizzando un sistema a pompa-turbina», spiega Heron Vrubel, laureato in elettrochimica e responsabile del sito di Martigny. «Sole e vento sono fonti energetiche intermittenti. Le oscillazioni nella produzione hanno un impatto sulla rete. Quando si produce più di quello che si consuma, si rischia di sovraccaricare la rete, innescando un black-out. Il nostro progetto consiste nella produzione di una batteria capace di immagazzinare energia solare ed eolica per regolare la rete e fungere da cuscinetto tra produzione e consumo».

L'energia rinnovabile è già immagazzinabile in batterie, ma la tecnica ha i suoi limiti legati alle dimensioni, al prezzo e alla durata. La tesi proposta da Véronique Amstutz, membro del team, si basa sull'idea di produrre un nuovo tipo di accumulatore con capacità maggiorata. «Il punto di partenza è stato quello di utilizzare una batteria redox», spiega la 29enne studentessa di dottorato. Questi accumulatori, sviluppati dalla Nasa negli anni 70 e utilizzati oggi nell'industria, immagazzinano l'energia in forma liquida.

La batteria è liquida

La batteria è costituita da una soluzione, una miscela di sale di vanadio (un metallo) e acqua, che consente di immagazzinare l'energia. «Ho pensato che potevamo utilizzare questa energia per produrre idrogeno», spiega Amstutz. Ecco ciò che rende il progetto unico: facendo passare la soluzione di vanadio lungo una polvere, una reazione chimica produce idrogeno. Questa produzione di idrogeno prende energia dal liquido, che quindi ritorna scarico alla batteria. «Questo processo aumenta la capacità della batteria, che presenta molti altri vantaggi: è più economica, dura di più ed è più sicura di una batteria al litio».

Il prototipo installato a Martigny eroga 10 kW di potenza e ha una capacità di 40 kWh. Non è ancora molto, ma il team dell’Epfl sta lavorando a una seconda batteria da 200 kW che, secondo Heron Vrubel, potrebbe fornire energia a una trentina di appartamenti. «A condizione che la costruzione sia dotata di pannelli solari e sia ben isolata e ventilata, questa batteria potrebbe renderla autosufficiente in termini di produzione e consumo energetico». 

L'obiettivo adesso è quello di abbassare l'asticella, non producendo batterie di capacità più grandi, bensì attraverso la produzione su larga scala di moduli da 100 kW che possano essere combinati come richiesto, a seconda della capacità necessaria. Il laboratorio del professor Girault teorizza che un giorno potremmo avere contenitori in ambienti domestici, per esempio nei sotterranei degli edifici. I ricercatori non si fanno illusioni: tutto ciò comunque non accadrà in tempi brevi. Da un lato ci verrà richiesto di essere molto più ambiziosi in termini di eco-compatibilità della costruzione e, dall’altro, di sviluppare l'installazione di pannelli solari e turbine eoliche.

Nel frattempo, il progetto dell’Epfl richiede ulteriori migliorie. Misura due metri di larghezza per quattro metri di lunghezza per 2,5 metri di altezza: il prototipo di Martigny occupa una quantità impressionante di spazio. «Questo è il rovescio della medaglia», ammette Heron Vrubel. «Serve moltissima acqua per ottenere la soluzione di vanadio. E questa occupa tanto spazio. Tuttavia, la produzione di idrogeno consente di ridurre le dimensioni della batteria e di migliorarne le prestazioni, rispetto ad una batteria redox convenzionale». Malgrado questo inconveniente, il team è convinto di aver trovato «una soluzione per il futuro».

«È un progetto innovativo che integra il crescente interesse per la ricerca in materia di batterie redox», spiega Amstutz. «Vengono presi in considerazione altri sistemi per immagazzinare energia da fonti rinnovabili, come quello che usa batterie ad aria compressa o a base di zolfo sodio, laddove ogni tecnologia viene associata a diverse applicazioni, a seconda della sua capacità e della sua potenza». 

E poi? Bisogna convincere i fornitori di energia a investire in questo progetto. Ma su questo siamo a un buon punto. La tesi di Véronique Amstutz è stata finanziata da Eos Holding. La società, che raggruppa le principali società elettriche della Svizzera francese, è pronta a promuovere l'energia da fonti rinnovabili. Sono in corso trattative con diversi partner per finanziare una start-up basata sulla sua idea.

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