L'editoriale

Un punto di non ritorno

27 luglio 2016
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Nizza, la Baviera e ora di nuovo la Francia. Carneficine a non finire, che quasi quasi se ne perde il conto. Segnano un punto di non ritorno. Una cesura netta fra chi ha creduto che fosse necessario tenere fede ai valori alti dell’accoglienza e della solidarietà verso chi è molto meno fortunato, chi è perseguitato nel proprio Paese, e chi non ha mai creduto in questa dimensione e va ripetendo: ‘Vedete che avevamo ragione? Le frontiere vanno blindate!’. I recenti e reiterati atti di barbarie avevano sinora colpito comunità (in particolare quella francese, belga e germanica) nelle proprie attività quotidiane e soprattutto laiche. Gli attentati erano costati la vita a famiglie che stavano passeggiando lungo il mare, ferito giovani che stavano assistendo a un concerto e, prima ancora, crivellato vignettisti in una redazione, massacrato spettatori durante uno spettacolo, viaggiatori nella metro, clienti in un negozio ebraico. Ora è stato sgozzato un sacerdote e sono stati feriti dei credenti in un luogo di culto. Una reiterazione e una scelta che fa balzare in primo piano – senza né se, né ma – il tema della sicurezza quale priorità n. 1, a scapito di libertà e diritti anche loro brutalmente feriti dai fanatici. Una sicurezza rincorsa dai Paesi europei (chissà se un giorno riagguantata?) dando più poteri a servizi segreti e organi inquirenti nel monitorare, intercettare e fermare preventivamente potenziali autori di attentati. Libertà e diritti da rivedere, però, anche per chi bussa alle nostre porte domandando aiuto. Per chiedere asilo (ma non solo, anche lavoro), in taluni casi già sapendo di non poterne aver diritto. La stretta che ora seguirà, e che avvertiremo già a partire dai prossimi giorni nei Paesi che ci circondano e di riflesso anche in Svizzera, sarà senza precedenti. Perché non si può chiedere accoglienza e tradire, colpire alle spalle, uccidere chi ti ha aperto le porte per minarne il sistema. Non mancherà anche chi chiederà di tenere in carcere a vita questi criminali e di bloccare tutti i nuovi arrivi. Di chiudere le frontiere e cercare di smaltire le richieste pendenti. Sì perché, se non riusciamo a tenere a bada le teste calde e i criminali già presenti sul territorio, figuriamoci se possiamo permetterci di accatastare altre richieste e altri arrivi, che possono malauguratamente ancora celare persone pronte a diventare uomini dell’Isis. In parole povere: visto quanto successo, ci troviamo costretti a far valere il principio ‘a mali estremi, estremi rimedi’. Scelta obbligata che avrà come conseguenza che chi davvero soffre e ha diritto all’asilo lo otterrà, forse..., ma con estrema difficoltà. C’è poi un secondo motivo di politica interna che porterà pure a un nuovo giro di vite. Bisogna assolutamente evitare che qualche cittadino, preso dal panico, inizi a farsi giustizia da sé. Questa deriva, tipica di momenti molto gravi come quelli che stiamo vivendo, non va sottovalutata. Le stragi si susseguono a ritmo sostenuto e hanno obiettivi sempre nuovi. Ciò ci destabilizza, ci fa perdere i punti di riferimento. E quando non si ha più fiducia nello Stato, perché si dimostra incapace di arginare una situazione del tutto nuova, che probabilmente nessuno saprebbe gestire, si fanno largo le spedizioni punitive. Pane per i denti di una certa estrema destra nostalgica, che non può non far venire i brividi. Per questo è importante accelerare, e di molto, le pratiche pendenti, non permettere a chi qui arriva di poter vagare per il Paese, coordinare i rientri di chi non ha diritto all’asilo per evitare che si creino sacche di povertà e devianza, lasciare in prigione chi è stato condannato per la sua militanza nell’Isis ed essere più prudenti che mai.

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